«Si stima che il 75% del consumo eccessivo di cibo nasca dalle emozioni. In fondo, a chi non è capitato di mangiare perché era nervoso o di coccolarsi con della cioccolata in un momento di tristezza? Spesso mangiamo non per "fame" ma sulla base di una spinta emotiva (tristezza, ansia,noia etc...). Si mangia, quindi, anche con il "cuore" e con la "testa" perché il cibo è in grado di soddisfare i nostri bisogni emotivi, calmarci, rilassarci. è un’attività "cerebrale"più di quanto possiamo immaginare». Così la dottoressa Alessandra Bosio, psicologa e psicoterapeuta, introduce la cosiddetta fame emotiva o nervosa, un problema molto diffuso e nei confronti del quale ci si sente spesso impotenti.

Dottoressa Bosio, da cosa dipende il nostro rapporto con il cibo?
Le abitudini alimentari si apprendono fin da piccoli. Dal momento in cui un genitore offre per la prima volta una caramella a un bambino per consolarlo o zittirlo, il cibo diventa un modo per "sopire" un disagio. Altre volte può essere un premio, generando così, in seguito, il ricorso al cibo come a un sostituto dell’affetto. Il cibo quindi ha una valenza complessa. Da un lato è correlato a emozioni positive e viene usato per festeggiare occasioni speciali, dall'altro è sempre stato considerato un rimedio per attenuare la noia e per consolarci. Alcune abitudini assunte precocemente possono diventare poi deleterie e difficili da sradicare e anche la tendenza a volersi adeguare a tutti i costi a modelli stereotipati può indurre a seguire regimi alimentari poco salutari. Le diete squilibrate, a loro volta, espongono a maggiori rischi di turbamenti emotivi che, di conseguenza, accentuano l'intensità e la frequenza degli episodi di fame emotiva.

Ma quando la fame emotiva diventa un problema?
Se accade raramente non ci si deve preoccupare. Il problema è quando non riusciamo più a distinguere i segnali che l’organismo ci invia perché ha bisogno di energia vitale (fame fisica) da quelli non esauribili attraverso il cibo (fame emotiva) e quando il ricorso emotivo agli alimenti avviene troppo frequentemente, diventando l'unica "cura" alle sofferenze e difficoltà. Si cerca una fuga dalla consapevolezza, una coccola subito disponibile per quanto non priva di conseguenze negative, piuttosto che una prospettiva di cambiamento che richiederebbe un impegno prolungato e dall’esito incerto. L’unica soluzione sembra quella di annullare la realtà che induce il disagio emotivo, una sorta di "anestesia emotiva" in cui il cibo diventa un rifugio in cui isolarsi e non "sentire". Anche la vergogna e il senso di colpa scatenate dall’abbuffata stessa diventano emozioni scarsamente tollerabili. Si instaura così un circolo vizioso: si inizia a utilizzare il cibo per gestire tutte le situazioni che provocano malessere (rabbia, delusione, senso di diversità e abbandono, solitudine, la sensazione di non farcela, di non essere all’altezza o di non piacere, le difficoltà relazionali etc.).

Ci sono persone più a rischio di cadere nella rete?
In genere l'"abbuffatore emotivo" ha dei tratti di personalità caratteristici:

  • scarsa stima di sé;
  • perfezionismo (molti si pongono standard eccessivamente impegnativi anche e non solo negli obiettivi dietetici);
  • pensiero tutto-nulla (vedere le cose o bianche o nere facilita le abbuffate dal momento che si stabiliscono regole dietetiche troppo rigide che portano ad abbandonare il controllo dopo la più piccola trasgressione);
  • impulsività (le abbuffate spesso servono per allentare la tensione dovuta all’incapacità di affrontare lo stress in modi meno pericolosi).

Abbuffate emotive: non solo una questione di quantità Il denominatore comune di tutti gli attacchi di ingordigia non è tanto l’eccesso in sé quanto il vissuto di perdita di controllo: la sensazione dolorosa di fare qualcosa che non si vorrebbe fare ma che non si riesce a evitare. Non sono quindi considerate abbuffate gli eccessi alimentari di cui si ha piena coscienza come chi esagera durante una festa o chi sceglie di servirsi più volte un piatto che gli è piaciuto. Lo sono invece le mangiate solitarie davanti alla tv in cui magari spariscono, senza consapevolezza o senza riuscire a fermarsi, confezioni intere di patatine, brioches, salatini etc... E questo vale tanto per una ragazza che soffre di anoressia nervosa, quanto per una persona con un peso nella norma o in sovrappeso che divora, senza riuscire a fermarsi, quantità impressionanti di cibo in miscugli caotici, tentando poi di rimediare provocandosi il vomito o digiunando per giorni interi o saltando i pasti successivi.

E come si fa a uscirne?
La fame nervosa non riguarda la mancanza di volontà, come molti pensano, ma un rapporto sbagliato col cibo e la difficoltà ad adottare strategie e tecniche più appropriate per gestire i problemi sottostanti. Nocivo è il ritenere che le emozioni negative vadano allontanate a ogni costo; o perché ci si sente incapaci di gestirle o perché si teme di non possedere le abilità necessarie per sopportarle o di non poter agire in nessun modo per evitare che si verifichino gli eventi che le inducono. Occorre quindi da un lato rieducarsi a un'alimentazione sana e regolare, uscendo dagli schemi di restrizione o dieta rigida, dall'altro farsi aiutare per avviare il processo di consapevolezza di quei personali meccanismi che intrappolano in questa ricerca di supporto, fuga o sfogo nel cibo. Spesso le persone sono consapevoli di mangiare senza sentire lo stimolo della fame, ma non si domandano cosa cercano di ottenere attraverso il cibo. Cambiare si può e la "cura" parte da qui.

E tu che rapporto hai con il cibo? 
Ecco un quadro delle caratteristiche della fame nervosa in cui riconoscerete, almeno in parte, se avete questo problema o pensate che qualcuno di vostra conoscenza ne soffra.

  • Sensazioni contrastanti. I primi momenti di un’abbuffata compulsiva possono essere molto piacevoli. Nel giro di poco però prendono il sopravvento sensazioni di disgusto e senso di colpa.
  • Velocità nel mangiare, masticando appena e riempiendo la bocca in modo quasi meccanico.
  • Agitazione.
  • Sensazione di uno stato alterato di coscienza, come se si fosse in trance.
  • Segretezza. Alcune persone si vergognano a tal punto da fare di tutto per tenere l’abbuffata nascosta.
  • Perdita di controllo prima o gradualmente durante l'abbuffata.

 Allenati ad aiutarti

  • Automonitoraggio di cosa, quando e quanto si mangia, pianificandolo in anticipo. "Se immagino di non resistere, non resisterò. Se immagino di resistere e mi programmo la trasgressione, resisterò".
  • Annotare su un foglio le emozioni provate in prossimità di un attacco di fame.
  • Imparare ad ascoltare la propria fame, in quale momento della giornata si presenta, cosa la scatena.
  • Pesarsi in maniera regolare ma non con eccessiva frequenza.
  • Creare un elenco di attività alternative che si possono fare quando si sente il bisogno di mangiare (una passeggiata, invitare un amico, una telefonata, un bagno rilassante etc.).
  • Non lasciare passare troppe ore tra i pasti.
  • Nascondere i cibi "pericolosi".
  • Concentrarsi mentre si mangia e imparare a gustare il cibo lentamente.
  • Fare attività fisica: aiuta a liberare la mente dai problemi e ad essere più positivi.
  • Non etichettare le scivolate come ricadute.
  • Riconoscersi il merito e vivere gli errori pensando al modo in cui risolvere il problema se si ripresentasse, invece di mortificarsi in continuazione. 

a cura di Elena Buonanno
con la collaborazione della dottoressa Alessandra Bosio
Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale di Trescore Balneario