È tornato a respirare grazie al polmone donato dal padre. E ora, a poco più di un mese dal trapianto, è uscito dall’ospedale e può cominciare una nuova vita, una vita normale come i suoi coetanei. È davvero una storia straordinaria quella di Mario (nome di fantasia), 5 anni, e di papà Anduel, 34 anni. Non solo perché a dare la nuova vita al piccolo, affetto da una malattia che gli aveva danneggiato gravemente i polmoni, è stato chi gliela aveva già data la prima volta, il papà, ma anche perché si tratta del primo trapianto di polmone in Italia da donatore vivente. «Quando i medici mi hanno chiesto se fossi d’accordo a dare uno dei miei polmoni a mio figlio, ho risposto subito: sono pronto. È stato il giorno più importante della mia vita perché avrei potuto salvare mio figlio. Ora dopo il trapianto gioca, potrà andare a scuola e avere una vita come tutti gli altri: non ci sono parole per l’emozione che sto provando» ha raccontato alla stampa Anduel al momento della dimissione dall’Ospedale Papa Giovanni XXIII, dove il piccolo è stato operato il 17 gennaio.

Il calvario della famiglia di Mario inizia nel 2019 quando papà Anduel e la moglie Ornella, trasferitisi dall’Albania in Italia da un anno, portano il figlio all’ospedale Meyer di Firenze. Da giorni non si sente bene, ha una febbre alta che non accenna a diminuire. Dopo gli esami, arriva la diagnosi: talassemia o anemia mediterranea, una malattia del sangue che in genere richiede trasfusioni di sangue. E così per due anni il bambino viene sottoposto a trasfusioni di sangue periodiche. Ad un certo punto però questa terapia non basta più. È necessario un trapianto di midollo. L’intervento riesce, ma la donazione del midollo dal padre, con conseguente “trasferimento” del sistema immunitario del genitore al figlio, genera la cosiddetta malattia da trapianto contro l’ospite, una grave complicanza per cui le cellule trapiantate provenienti dal donatore “attaccano” gli organi e i tessuti del ricevente, che il nuovo sistema immunitario non riesce a riconoscere come propri. Questa malattia, sommata all’effetto dei farmaci utilizzati per il trapianto, danneggia i polmoni del bambino al punto che stava perdendo completamente la capacità di respirare in modo autonomo. Non gli restano speranze di sopravvivere, se non quella di un trapianto di polmoni. Gli specialisti dell’Ospedale Meyer, quindi, contattano il Papa Giovanni XXIII di Bergamo, centro di eccellenza a livello italiano in questo campo, per valutare ed eventualmente inserire il bambino in lista per il trapianto di polmone. Passano pochi mesi e la famiglia arriva a Bergamo. Il bimbo viene ricoverato nel reparto di Pediatria, diretto dal dottor Lorenzo D’Antiga. Le sue condizioni sono buone, ma per respirare ha bisogno continuativo di ossigeno ad alti flussi, cioè di un sistema di assistenza respiratoria non invasiva.

Nel frattempo, il team multidisciplinare dei trapianti pediatrici, dopo un’attenta valutazione del caso e su intuizione del dottor Michele Colledan, direttore del Dipartimento di insufficienza d’organo e trapianti e dell’Unità di Chirurgia generale 3 – trapianti addominali e professore di Chirurgia all’Università di Milano-Bicocca, concorda che l’opzione migliore sarebbe un trapianto con un organo donato dal padre, che ha già donato il midollo e quindi trasferito la sua immunità al figlio. In questo modo l’enorme vantaggio sarebbe stato quello di eliminare il rischio di rigetto. Nonostante al Papa Giovanni questa strategia fosse stata già adottata per il trapianto di fegato, nel caso del polmone tale intervento non era mai stato fatto in Italia e aveva pochissimi precedenti in Europa, a causa della grande difficoltà tecnica e della rarità di tale situazione. Inoltre, rispetto alla donazione da deceduto, questo approccio avrebbe dato la possibilità di programmare l’intervento in poche settimane anziché aspettare la chiamata dalla lista d’attesa.

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Certo si tratta di un intervento delicato, ma, rassicurati dagli specialisti dell’ospedale e dalla loro grande esperienza nei trapianti, i genitori di Mario non attendono neanche un istante: sono pronti a fare tutto il necessario pur di salvare la vita al figlio. E così iniziano subito gli esami preparatori, per papà e figlio, in vista del duplice intervento di prelievo e di trapianto.

Finalmente arriva il tanto atteso
giorno dell’intervento, programmato in due sale chirurgiche adiacenti, che lavorano in parallelo. L’equipe di Colledan effettua con successo il trapianto sul bambino, mentre il prelievo del lobo polmonare destro dal padre donatore viene eseguito da Alessandro Lucianetti, direttore della Chirurgia generale 1 - addominale toracica.

Il bambino viene ricoverato per due settimane nella Terapia intensiva pediatrica e successivamente, per altre due settimane, nel reparto di Pediatria, diretto dal dottor Lorenzo D’Antiga, dove medici e infermieri si prendono cura di lui notte e giorno con amore. Dopo otto giorni dall’intervento ricomincia a respirare autonomamente, senza bisogno di ventilazione invasiva. Per Mario e la sua famiglia è la fine di un incubo: il loro bambino potrà avere una vita normale e felice, salvato dall’amore del suo papà e dalla professionalità dei medici bergamaschi.

 

a cura di Claudio Gualdi