Roksana, la moglie di Malinovskyi, racconta il dramma delle loro famiglie e ci parla della loro Charity per aiutare i connazionali.

Mentre parliamo con Roksana, la moglie di Ruslan Malinovskyi il calciatore dell’Atalanta, entrano due giovanissimi tifosi nel suo atelier di Passaggio Bruni in via XX Settembre. Portano un ritratto del campione ucraino fatto da uno di loro. Il pittore indossa la maglietta arancione che la squadra usava lo scorso campionato con tanto di numero 18 e il nome Malinovskyi. Vogliono festeggiare il mancato trasferimento di Ruslan e fare una donazione alla “Malinovskyi Charity” di cui Roksana, 28 anni, ucraina come il marito, è presidente. E che ha raccolto quasi 70 mila euro per aiutare i connazionali devastati dalla guerra. Pochi minuti dopo è la volta di una signora di mezza età che dona anche lei una somma per la causa ucraina.

«Sono stati migliaia i bergamaschi e non solo, a partire da quel drammatico 24 febbraio scorso, a mostrarci la loro solidarietà e a far donazioni all’associazione. Anzi la Charity è nata proprio grazie a tanti amici che mi hanno aiutato molto con i dettagli organizzativi economici e finanziari» ci racconta Roksana. «Molte persone volevano contribuire, ma per evitare grane legali abbiamo registrato un’associazione. E la gente può così essere sicura che il suo aiuto non andrà perso. Il nostro unico scopo è aiutare il nostro popolo. Subito dopo l’inizio della guerra abbiamo realizzato nell’atelier mille bandiere con i colori della nostra nazione che sono andate a ruba al costo di dieci euro l’una, poi le maglie autografate di decine di calciatori messe all’asta e quindi una serata di beneficenza ai Colli di Bergamo Golf organizzata con l’aiuto di Pernice Comunicazione e di tante altre imprese del territorio. Subito abbiamo riempito un tir con beni di prima necessità: cibo, scarpe, vestiti, prodotti per l’igiene e tanto altro. Erano i primi giorni dell’invasione. Poi abbiamo inviato un altro tir con i prodotti che ci erano stati richiesti e ora stiamo organizzando un nuovo trasporto. Aspettiamo che l’Associazione Ucraina con la quale siamo collegati ci faccia sapere di cosa hanno bisogno. Servono apparecchiature mediche, oggi distrutte negli ospedali. Contiamo anche sull’aiuto dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII. Nulla deve essere disperso. Controlliamo che quello che mandiamo da Bergamo finisca nelle mani giuste».

L’impegno della Malinovskyi Charity non si ferma qui, come ci spiega Roksana. «Abbiamo aiutato cento ragazzi orfani e vulnerabili a vivere una vita normale per intere settimane in un albergo di montagna, lontani dal rumore e dalla paura dei bombardamenti. Sono assistiti da psicologi e insegnanti che cercano di portare un po’ di tranquillità».

Già, il rumore della guerra. Missili che spazzano interi paesi. E Roksana si intristisce. «Pensi che la sera di Sant’Alessandro quando sono cominciati i fuochi di artificio che guardavo da casa ho pianto pensando ai miei connazionali che vivono quotidianamente sotto i colpi dei missili e delle bombe, ai tanti bambini che non hanno nessuna colpa e che devono vivere nella paura. Mio nipote, figlio del fratello di Ruslan, vive con il rumore delle bombe. Con mia cognata erano scappati a Bergamo ma dopo un mese è voluta tornare da suo marito rimasto in Ucraina. Per loro non è semplice adattarsi alla vita dell’Occidente, anche se ci sentiamo europei a tutti gli effetti. Mia nonna è a Sebastopoli, nella Crimea occupata dai russi nel 2014. Non può muoversi. Non può andare in Ucraina. Dovrebbe passare prima proprio dalla Russia che però non le darebbe il passaporto per espatriare nella sua Patria. E allora resta a Sebastopoli, schivando i missili e le bombe. E pensare che voleva trasferirsi a Odessa dove abbiamo costruito una casa per tutta la famiglia .Proprio oggi ho scoperto che su Odessa sono caduti missili lanciati da Sebastpoli, la mia città natale dove ho conosciuto Ruslan. Siamo molto preoccupati, ma questa guerra deve finire. Mi chiedo perché tanto sangue. Siamo una grande nazione, ci sentiamo europei e vogliamo vivere in pace».

Roksana e Ruslan avevano progettato di andare in Ucraina quest’estate, a trovare parenti e amici, ma non è stato possibile. «Siamo via da qualche anno, prima in Belgio, ora a Bergamo, la mia seconda patria, dove tre anni fa è nata la nostra bambina Olivia, una città che mi piace molto e mi ha dato la possibilità di creare il mio atelier, ma non posso non pensare a chi sta soffrendo e rischiando di morire» dice Roksana. «Un amico di mio padre che vive a Mariupol, ci ha raccontato quanta sofferenza sono costretti a sopportare in una città distrutta dove, si dice, ci siano centomila morti. Manca tutto, il cibo, l’acqua, l’energia, il caldo. Loro erano costretti a scappare a ogni allarme bomba nei rifugi sottoterra a 16 gradi sottozero e per bere dovevano sciogliere la neve».

Una situazione tragica che ha sconvolto anche il centrocampista dell’Atalanta che ha i genitori a Zhmtomyr, a cento chilometri da Kiev. Roksana ci racconta i primi giorni della guerra. «La mattina mi sveglio e leggo i messaggi drammatici che mi hanno inviato parenti e amici. C’è la guerra. I miei genitori riescono a scappare e dopo una settimana sono a Bergamo, solo la nonna resta in Ucraina. Vorremmo andarci, ma non è possibile. Ruslan è triste, teme per i suoi. Intanto c’è la partita dell’Atalanta con l’Olympiakos. Ruslan segna due gol e regala un sorriso in un momento così difficile, mostrando la maglietta con la scritta “Stop war”, basta guerra. Gliel’avevo fatta io. Ero sicura che avrebbe segnato. Era la sua sfida. Lui è un leader, e in quella partita ha dato il suo contributo anche per gli ucraini. Ecco perché i tifosi lo amano. Ruslan è gentile, disponibile, non a caso è sempre in mezzo ai tifosi, a firmare autografi, a fare selfie e a partecipare a tante iniziative benefiche, come quando siamo andati a Rota Imagna a incontrare i bambini ucraini ospiti di quel paese. È stato un giorno intero a giocare con i piccoli, a confortarli. La sua gentilezza e la sua disponibilità mi hanno colpito sin dal primo giorno che l’ho conosciuto, grazie a una mia amica che mi aveva invitato a vedere una partita del Sebastopoli, dove Ruslan giocava. I biglietti non era facile ottenerli. Lo stadio disponeva di 5 mila posti in una città di 440 mila abitanti. La mia amica aveva un biglietto, il mio l’aveva Ruslan, che io non conoscevo. Ci siamo incontrati in una discoteca ed è stato amore a prima vista. Io avevo 19 anni, lui 20. Non ci siamo più lasciati. L’ho seguito in Belgio e in Italia. Poi nel 2016 ci siamo sposati e abbiamo messo al mondo Olivia che ha quasi tre anni ed è una bergamasca verace. Ecco perché Bergamo è la nostra casa e vogliamo restarci. Anche se speriamo di poter andare di nuovo in Ucraina per aiutare i nostri connazionali». Intanto Roksana, che fa la stilista, sta preparando con le sue collaboratrici i vestiti per il red carpet alla Mostra del Cinema di Venezia.

A cura di Lucio Buonanno
Ph: Pernice Comunicazione