Una donna su tre, secondo dati Istat, è stata vittima di stalking. Una vera e propria emergenza. Per rendersene conto basta leggere le pagine dei quotidiani che quasi ogni giorno raccontano storie di ragazze e donne perseguitate per mesi o anni. «In realtà lo stalking (dall’inglese "to stalk","camminare furtivamente/cacciare in agguato"), non è un fenomeno solo dei nostri tempi. È sempre esistito. Quello che è cambiato è che negli ultimi anni si è presa coscienza della sua gravità e della necessità di classificarlo sia sul piano patologico sia giuridico» sottolinea la dottoressa Mara Seiti, psicologa e psicoterapeuta.

Dottoressa Seiti, ma quando si può parlare di stalking?
Lo stalking, o "la sindrome del molestatore assillante", è caratterizzato da un insieme di comportamenti molesti e continui, veri e propri atti persecutori, che generano nella vittima ansia e paura. In particolare per parlare di stalking è necessario che sia presente almeno una di queste componenti: un attore (stalker) che individua una vittima nei confronti della quale sviluppa una sorta di ossessione; una serie di azioni intrusive ripetute nel tempo, come appostamenti, telefonate, invio di ripetuti sms, e-mail, lettere, minacce, regali etc., caratterizzate da sorveglianza, controllo, ricerca di contatto o comunicazione; una pressione psicologica che la vittima percepisce come spiacevole, lesiva e inquietante.

E qual è l'identikit dello stalker-tipo?
Nella maggior parte dei casi lo stalker è un marito o un compagno che non conoscendo l’amore, ma solo il possesso, può ricorrere a qualsiasi malsano mezzo per garantire che "l’oggetto" rimanga sotto il suo potere. Oppure un "ex" che non ha mai cessato di tormentare la donna con cui stava nonostante i continui rifiuti. Esistono, però, anche casi di stalking in contesti relazionali non affettivi, come l’ambiente lavorativo, scolastico o quello di vicinato. Lo stalker può essere un individuo apparentemente "normale". Molti, però, dietro una quotidianità insospettabile, sono affetti da disturbi di personalità e la loro patologia si manifesta proprio nelle relazioni. In letteratura, in particolare, si riconoscono quattro tipologie di stalker:

  • il rifiutato, che reagisce alla conclusione non voluta della relazione con la vittima con azioni volte alla ricerca di una riconciliazione, di una riparazione o, talvolta, di entrambe;
  • il ricercatore d’intimità, che conduce spesso una vita solitaria e per il quale la persecuzione della vittima, di frequente sconosciuta o una semplice conoscente, rappresenta una soluzione all’isolamento. Lo stalker persiste con le sue comunicazioni non curandosi delle risposte negative della vittima, ma, al contrario, rafforzando le sue azioni sulla base delle gratificazioni ricevute da un’immaginaria vicinanza, che è sempre preferibile alla totale assenza d’intimità;
  • il risentito, che risponde a un presunto insulto o a una lesione con azioni volte alla rivendicazione delle proprie ragioni e alla vendetta. Si sente una vittima e il senso di potere e di controllo creato dallo stalking agisce da rinforzo sulle molestie;
  • gli incompetenti, potenziali pretendenti, che, a causa della loro ignoranza o indifferenza verso i normali rituali di corteggiamento, usano metodi, nelle migliori delle ipotesi controproducenti e, nel peggiore dei casi, terrificanti per la vittima stessa. Questo tipo di stalking, essendo poco soddisfacente e mancando di meccanismi di rinforzo che lo alimentino, non viene perseguito a lungo nei confronti di una stessa vittima, ma la stessa modalità viene ripetuta con nuove prede.

E come ci si può difendere da tutto questo?
Quando ci si rende conto di essere vittima di atti persecutori, la paura di ripercussioni, l’ansia e la vergogna rischiano di paralizzare la vittima nel silenzio e nell’isolamento, reazioni che consentono all’aggressore di continuare indisturbato a reiterare le sue manipolazioni. La prima cosa da fare per difendersi da questo crimine, invece, è rendersi conto che quello che si sta subendo è una violenza e che per nessuna ragione si è responsabili del comportamento del persecutore, per quanto alcuni stalker cerchino di far credere alle loro vittime di essere loro a provocarne le reazioni. Importante poi è parlare con persone di cui si ha fiducia: non bisogna rimanere chiusi nel silenzio perché questo toglie forza e riduce la possibilità di ricevere aiuto; l’isolamento della vittima è un terreno molto fertile per lo stalker. Altri suggerimenti utili sono informarsi e leggere quanto più possibile sul fenomeno; cercare di evitare qualsiasi contatto con lo stalker e reazione che possa essere scambiata nella sua mente "malata" come un segnale di attenzione (ad esempio una telefonata rabbiosa, una risposta negativa a una lettera o a un messaggio, la restituzione di un regalo non gradito); tenere un diario dove riportare accadimenti e vissuti; contattare le forze dell’ordine o chiamare il numero 1522 che può mettere in contatto le vittime con i centri antiviolenza specializzati; rivolgersi a professionisti in grado di fornire un sostegno psicologico sia durante sia una volta finite le persecuzioni. La violenza psicologica e fisica comporta infatti conseguenze molto gravi (come ansia e depressione), a volte addirittura fatali, con ricadute pesanti anche per le persone vicine (soprattutto i figli).

a cura di Maria Castellano
con la collaborazione della Dott.ssa Mara Seiti 
Psicologa e psicoterapeuta a Palazzolo sull'Oglio