La storia del dottor Persiani che per 37 anni è stato medico condotto a Sorisole.

A 92 anni è ancora un brillante comunicatore. Lucido come quando, per una vita, è stato il medico condotto e ufficiale sanitario a Sorisole e a Ponteranica dove tutti lo ricordano per il suo impegno e la sua professionalità. Ma Cesare Persiani è anche un valente scrittore che recentemente è stato premiato alla carriera dall’Associazione medici scrittori italiani. Questa la motivazione: “Per aver onorato l’Associazione medici scrittori italiani con cultura e saggezza”. Lo abbiamo incontrato per saperne di più della sua vita divisa tra passione per la scrittura e per la medicina.

Cosa ha significato questo premio per lei?

Ha significato moltissimo: la piccola targa d’argento è stata per me un riconoscimento
prezioso, quasi quanto la medaglia d’oro dell’AVIS ottenuta molti anni fa come fondatore della sezione di Sorisole e donatore emerito per trenta anni.

Quando si è trasferito a Sorisole?

Il giorno stesso del mio matrimonio: era il tredici ottobre del 1962. Avevo vinto il Concorso come “Medico Condotto” e Ufficiale sanitario del Consorzio medico Sorisole e Ponteranica: per anni fino alla istituzione della Guardia Medica dovevo essere disponibile 24 ore su 24, anche nei giorni festivi; in caso di forzata assenza (malattia o grave necessità familiare) dovevamo pagare un supplente di tasca nostra. Valeva ancora il detto dello scrittore Renato Fucini. “Vita più misera e più rotta non c’è del medico che va in condotta”.

Per trentasette anni lei, oltre a medico di famiglia a Sorisole e Ponteranica, già specializzato in Neuropsichiatria, Pediatria, Igiene e Medicina preventiva, come faceva a conciliare la professione con l’attività di scrittore?

Quando, a sera inoltrata, la porta dell’Ambulatorio si chiudeva dietro l’ultimo paziente e subentrava un silenzio profondo e innaturale, mi riapparivano i volti tristi o spaventati, a volta angosciati delle persone che avevano affidato la loro pena: ogni paziente mi aveva lasciato una piccola o grande lezione, mi aveva insegnato qualcosa. In quei momenti nasceva in me la necessità, quasi liberatoria, di mettere per scritto riflessioni su tanta umanità sofferente.

Lei ha sempre detto di aver fatto il “medico delle persone”, Medico di una volta, sempre disponibile con qualsiasi tempo, sole, neve, pioggia. Ricorda qualche episodio bello o critico con i suoi pazienti?

Ne ricordo tanti (è un privilegio della vecchiaia). Ma il più prezioso riguarda ciò che successe una notte di un gelido e nevoso inverno: dovendo accorrere presso un bimbo che stava molto male, in un cascinale a metà collina, mia moglie volle accompagnarmi perché il sentiero era impervio e non illuminato, e per aiutarmi a spingere la FIAT 500 che affondava nel fango e nella neve, ciò che avvenne comunque; fu in quei momenti che, con un dolce sorriso tra lacrime ghiacciate, mi dette il gioioso annuncio di essere in attesa del nostro primo figlio.

 

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Lei ha scritto vari libri. Quasi tutti ambientati storicamente a Martinengo, da “La parabola del dottor Gittardi” a “Ove è perfetta letizia”, a “Nel giardino dei semplici” a “Spunta il sole, canta il gallo”: come mai?Come sceglie i protagonisti delle sue storie? E cosa ha significato Martinengo per lei?

Ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza a Martinengo, ascoltando i racconti dei miei genitori e degli anziani del paese. Sono i personaggi dei miei libri che hanno scelto me. Martinengo ha significato, ed ancora significa, il luogo della mia prima giovinezza e la culla di tutti i miei affetti.

Abbiamo letto recentemente su “La serpe”, il periodico dei medici scrittori italiani, la storia tragicomica dello sfortunato primo matrimonio di Giuseppe Garibaldi con una certa Giuseppina Raimondi: come l’ha scoperta?

Ho trovato, quasi per caso, alcuni riferimenti a quella sfortunata avventura dell’Eroe, solitamente ignorata da quasi tutti i suoi biografi, forse perché poco onorevole per il protagonista, tanto amato e quasi leggendario.

La sua ultima fatica letteraria è “De serena senectute” in cui dà consigli per affrontare serenamente gli anni della vecchiaia.
Quali suggerimenti può dare ai giovani medici?

Il medico deve studiare, studiare, per tutta la vita; deve osservare bene ogni persona come fosse diversa da tutte le altre, deve ascoltare sempre con attenzione, imparando ad interpretare gli infiniti modi con cui ci si ammala, o ci si sente ammalati, sforzandosi di interpretare correttamente le ansie, le paure del paziente con un volto pacato, incoraggiando le confidenze, cercando di comprendere la descrizione dei disturbi, facilitare la confidenza, creare serenità ove ci sia angoscia. Non potrà esternare i propri dubbi (il paziente non vuole dubbi) ma nemmeno affermare certezze assolute ed irrevocabili. È un grave impegno questo, di dover mostrare sempre una grande comprensione, un dover celare gli eventuali dubbi riservandosi di chiarirli con l’esame attento ed anche, eventualmente, col consiglio di altri specialisti. Ricordino i giovani medici che il dubbio non è mai ben accetto dal paziente: gli si può eventualmente assicurare che ogni aspetto della sua malattia potrà essere chiarito con esami ed eventualmente col consiglio di uno Specialista, interpretare profondamente le sue ansie, mitigarle, incoraggiare ogni speranza col mostrarsi sereno e premuroso, mai preoccupato o triste.

 

A cura di Lucio Buonanno