Le aggressioni, fisiche e/o verbali, sul posto di lavoro colpiscono in media in un anno un terzo degli infermieri, la categoria professionale più numerosa in assoluto del Servizio Sanitario Nazionale e della sanità in generale. Si tratta di circa 130mila casi, con un “sommerso” non denunciato all’INAIL di altri 125mila casi l’anno. Il 75% delle aggressioni riguarda donne. A lanciare l’allarme, recentemente, sono state Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI (Federazione Nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) e Annamaria Bagnasco, professore ordinario di Scienze infermieristiche all’Università di Genova, in occasione del seminario in Senato “#rispettachitiaiuta – La sicurezza degli operatori sanitari”, durante il quale sono stati presentati i dati dello studio CEASE-IT, promosso dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche e svolto da otto università italiane, capofila l’Università di Genova.

Un fenomeno sottostimato

Chi non ha segnalato l’episodio, lo ha fatto perché, nel 67% dei casi ha ritenuto che le condizioni dell’assistito e/o del suo accompagnatore fossero causa dell’episodio di violenza, nel 20% convinto che tanto non avrebbe ricevuto nessuna risposta da parte dell’organizzazione in cui lavora, il 19% perché ritiene che il rischio sia una caratteristica attesa/accettata del lavoro e il 14% non lo ha fatto perché si sente in grado di gestire efficacemente questi episodi, senza doverli riferire.

 "La presenza di procedure chiare per la gestione degli episodi di violenza sul luogo di lavoro riduce la probabilità di subire violenza del 26% rispetto ai luoghi di lavoro che ne sono sprovvisti”

Le conseguenze: dalle escoriazioni al burnout ma non solo

Le conseguenze materiali per i professionisti delle aggressioni fisiche vanno nel 32% dei casi da escoriazioni e abrasioni a fratture e lesioni dei nervi periferici, fino anche - seppure in pochi casi - all’invalidità. La principale conseguenza psicologica invece è il burnout che colpisce il 10,8% degli infermieri che hanno subito violenza: attualmente quelli in burnout per questa e altre cause (stress da lavoro) sono il 33 per cento. I danni però sono anche economici per il sistema. Il 4,3% degli infermieri vittime di violenza riferisce assenza dal lavoro a causa della violenza subita. Se l’assenza è di almeno tre giorni vale circa 600 euro a caso che moltiplicati per il numero degli infermieri coinvolti in un anno sale a oltre 11 milioni di euro. Se però l’assenza raggiunge i sette giorni la stima di CEASE-IT triplica il costo per singolo evento (1.800 euro) e si raggiungono fino a oltre 34 milioni di euro/anno di costi totali a carico a carico del sistema e della società per la violenza sugli infermieri.

 "La presenza di procedure chiare per la gestione degli episodi di violenza sul luogo di lavoro riduce la probabilità di subire violenza del 26% rispetto ai luoghi di lavoro che ne sono sprovvisti”

L’importanza della comunicazione

«Lo studio ha dimostrato che gli infermieri conoscono i tratti e le caratteristiche di un potenziale comportamento di aggressione fisica o verbale; tuttavia, per varie ragioni non riescono a intercettare e prevenire questi episodi» spiega Annamaria Bagnasco. «Una delle concause dimostrate dallo studio è la comunicazione inadeguata che avviene tra il personale e l’assistito e/o l’accompagnatore; tuttavia, i processi comunicativi sono ampiamente influenzati dall’ambiente di lavoro, dallo staffing (carenza) e dal benessere dei professionisti». Il rischio di aggressioni, infatti, risulta essere maggiore aumentando il carico di lavoro: assistendo un paziente in più durante l’ultimo turno lavorativo aumenta del 4% la probabilità di sperimentare violenza. Un altro fattore di rischio è l’ambiente in cui si lavora: nell’area dell’emergenza/urgenza aumenta di oltre due volte la probabilità di subire violenza rispetto a lavorare in area medica, mentre nell’area della salute mentale aumenta di oltre quattro volte la probabilità di subire violenza rispetto ad altri contesti. Tra i fattori che invece diminuiscono le aggressioni è risultata significativa l’età; infatti, all’aumentare dell’età degli infermieri diminuisce del 3% la probabilità di subire violenza.

A cura di Elena Buonanno