Perché ci sono donne che si ritrovano sempre a scegliere, accudire e sopportare in modo incondizionato uomini che non sanno amare, pieni di problemi e che sembrano non crescere mai? Potrebbe trattarsi della cosiddetta sindrome della crocerossina, anche chiamata sindrome di Wendy. «Nella favola di Peter Pan la protagonista Wendy è una bambina di 10 anni che fin dall’infanzia è spinta dai genitori a prendersi cura dei fratellini più piccoli e a farsi carico di compiti di competenza degli adulti. Infatti mentre gli altri bambini giocano e si divertono lei passa il tempo a cucire» spiega la dottoressa Enrica des Dorides, psicologa e psicoterapeuta. «Lo stesso atteggiamento relazionale si può sviluppare in coloro che sono stati responsabilizzati prima del tempo, non potendo vivere la spensieratezza della loro età. Apprendono in questo modo una sorta di accudimento invertito che ripropongono da grandi nelle loro dinamiche relazionali. Wendy cerca il suo Peter Pan cioè uomini immaturi affettivamente che non vogliono crescere».

Dottoressa des Dorides, quali sono le cause?
Certamente le esperienze vissute durante l’infanzia e l’educazione ricevuta possono avere un ruolo importante, così come anche i tratti di personalità. L’affettività incentrata sulla dipendenza e il bisogno reciproco può diventare una prigione emozionale. Pensiamo, ad esempio, a situazioni in cui si è sperimentata una mancanza di affetto da parte dei genitori e di altre figure importanti oppure quando uno o più familiari a causa di malattie non è stato disponibile nel dare le cure necessarie. Può succedere anche che genitori troppo autoritari e giudicanti inculchino nei figli dei principi rigidi che impediscono lo sviluppo di una sana autostima. In questo modo la persona resta legata a un copione di ricerca di consenso e si sente a posto solo quando può darsi da fare per gli altri.

Qual è il pensiero tipico di chi soffre della sindrome della crocerossina?
“Io ti salverò” è il bisogno tipico di chi si realizza nell’accudimento degli altri. Chi ha questo schema di pensiero fa di tutto per aiutare, sostenere e curare persone fragili, dipendenti, immature o problematiche. In pratica la persona svolge un ruolo di maternage (ndr. accudimento materno) nei confronti di tutti coloro che hanno necessità di una spalla sulla quale appoggiarsi. Il convincimento alla base della sindrome della crocerossina è che le persone siano vulnerabili e vadano protette e rassicurate. Il bisogno di sentirsi utili e indispensabili per gli altri può nascondere una profonda paura di essere abbandonati o rifiutati e rimanere soli. Compiacere ed esaudire i desideri degli altri prima dei propri comporta il rischio di annullare se stessi.

E nelle relazioni amorose come si manifesta tutto questo?
“Io sono felice se tu sei felice”. La crocerossina si sente gratificata quando vede il partner gioire grazie al suo aiuto e alla sua dedizione. L’amore non viene concepito come qualcosa di gratuito ma qualcosa da doversi meritare. Questo tipo di amore malsano, completamente centrato sull’altro è tipico delle relazioni tossiche. La scelta del compagno ricade su personalità inafferrabili, misteriose e problematiche: il tipico “bello e dannato” che solo lei potrà salvare o cambiare. L’abnegazione assoluta porta in questo caso a sacrificare se stessi per dedicare tutte le energie nella cura amorevole del proprio principe. Ma spesso il lieto fine della favola non c’è perché quando lui ha risolto i suoi problemi non accetta più le attenzioni asfissianti, comincia a rivendicare il proprio spazio di autonomia. La soccorritrice piomba così in un baratro nero di insicurezza e paura dell’abbandono che la porta a essere ancora più dipendente. È un ciclo che si ripete all’infinito se non si chiede un aiuto per interromperlo.

Anche gli uomini possono essere crocerossini?
La donna per ragioni culturali è più predisposta alla cura, al sacrifico, all’ascolto, ma la sindrome del crocerossino può colpire anche gli uomini. Si parla in questo caso di sindrome del salvatore. Il pensiero tipico è “ci penso io a tutto”. C’è l’aspettativa implicita che la donna che si fa soccorrere e aiutare poi debba ricambiare l’amore. Quando questo non avviene si possono scatenare forti sentimenti di aggressività, di rabbia o di vuoto. La persona ripropone con l’altra un copione inconscio sofferente. La partner diventa un mezzo per colmare la propria voragine affettiva. Prendersi cura della partner può far sentire onnipotenti e forti ma quando c’è una eccessiva identificazione in questo ruolo il rischio è di perdere la propria centratura ed equilibrio.

Sei passi per guarire
> Invertire la tendenza di pensare all’altro e riorientare attenzione su se stessi.
> Riprendersi i propri spazi di autonomia.
> Costruire legami al di fuori della relazione di coppia.
> Far fluire le emozioni con tecniche di rilassamento e autoipnosi.
> Darsi valore con affermazioni motivazionali.
> Intraprendere una psicoterapia che aiuterà a rinascere. 

Come se ne esce?
Il primo passo è riconoscere di avere un problema. Il secondo è di accettare di farsi aiutare. Si tratta di recuperare il proprio benessere emozionale e imparare attraverso un percorso di psicoterapia a vivere le relazioni in modo appagante. L’autostima, il valore di sé non sono negoziabili, ma elementi imprescindibili sui cui fondare il proprio essere nel mondo. 

A cura di Elena Buonanno
con la collaborazione della dott. ssa Enrica Des Dorides
Psicologa e Psicoterapeuta
A Bergamo, Seriate, Gorlago e Trescore