Intervista alla campionessa italiana di paraciclismo che racconta la sua storia e spera nelle Paralimpiadi di Parigi.
«È un miracolo. Se sono viva è perché qualcuno mi protegge». Claudia Cretti, 25 anni, campionessa bergamasca di paraciclismo, non ricorda affatto la caduta al Giro in Rosa del 2017 nella tappa Isernia Baronissi quando sulla sua bici si sfracellò in discesa a 90 all’ora. Finì in coma per tre settimane, operata due volte alla testa con i medici preoccupati sulla sua ripresa. «Ho scoperto solo con il tempo che la mia situazione era gravissima e che ho rischiato di non riprendermi più» racconta Claudia. E invece ce l’ha fatta. È tornata alle corse già nel 2019 vincendo un campionato italiano a Bassano del Grappa e bissando il successo quest’anno a Marina di Massa. «Non potevo accettare il responso dei medici. Mi dicevano che forse sarei finita su una sedia a rotelle. No, io volevo tornare in sella alla mia bici. Il ciclismo è la mia grande passione da quando ero bambina. Ero alle elementari ma non mi perdevo una tappa del Giro. Guardavo le imprese di Pantani e sognavo di imitarlo». E infatti ci è riuscita, anche se la sua famiglia, papà Beppe e mamma Laura, non era d’accordo sulla sua carriera ciclistica. Ma la forza di volontà di Claudia e soprattutto le tante vittorie li convincono: medaglia d’argento ai Mondiali juniores su pista a Seul, medaglia di bronzo agli Europei su pista in Portogallo e tanti altri successi in Italia e all’estero. È la stella nascente del ciclismo femminile, velocissima, batte tutte nelle volate. È in Nazionale e sogna di partecipare alle Olimpiadi.

Il suo sogno però si infrange nella settima tappa del Giro in Rosa il 6 luglio 2017 nei pressi di San Giorgio del Sannio, vicino Benevento. Mesi in ospedale, lunga e faticosa riabilitazione. Nonostante tutto, lei non si perde d’animo, non molla, anzi appena torna a casa a Costa Volpino inforca la bici e piano piano riprende gli allenamenti sotto la guida del fratello, anche lui ciclista, che però scioccato dal drammatico incidente di Claudia abbandona le competizioni. Un passo alla volta e la ragazza, dopo soli due anni, torna alle corse e vince il campionato italiano di paraciclismo donne e torna in Nazionale, partecipa ai Mondiali. Quest’anno, dopo il blocco nel 2020 delle gare per il Covid, nuovi trionfi tra cui la medaglia d’argento alla Coppa del Mondo a Ostenda e il titolo italiano. Ma anche una nuova caduta con la frattura del bacino mentre ad agosto si allena sulle strade di casa. Di nuovo in ospedale, altra riabilitazione, a riposo un paio di mesi. «Fortunatamente è capitato a fine stagione, così posso recuperare e rimettermi in forma per le gare del prossimo anno» ci dice Claudia. Intanto l’anno prossimo cambierà squadra, lascerà la marchigiana Born to win per passare al Team Equa. «Devo molto alla Born to win del presidente Roberto Baldoni che mi ha offerto la possibilità di tornare a gareggiare mentre ero ancora in ospedale. E ora la nuova avventura con la squadra di Ercole Spada. C’è una bella differenza correre con una squadra nelle gare di paraciclismo. Mentre tra le professioniste “normali” si aiutano tutte, nella nostra categoria ognuna corre per sé, anche se io ho una vera maestra in Nazionale, Francesca Porcellato, plurivincitrice di Mondiali, lei mi consiglia, mi dà la carica. Ed è diventata una mia grande amica, come Agnese Romelli di Clusone che ha quattro anni meno di me, spesso mia compagna di allenamento».

A causa dell’incidente e del calendario delle varie gare Claudia ha lasciato l’Università UniSport di Trento, ma ha trovato l’amore, un giovane bresciano di Manerbio dal nome esotico, Daygoro. «Aveva letto una mia intervista sulla Gazzetta dello Sport e mi ha mandato una lettera piena di complimenti» racconta Claudia. «Abbiamo cominciato chattando sui social e alla fine ci siamo incontrati ed è cominciata la nostra storia. Ormai siamo insieme da tre anni. Ci vediamo spesso. O io, durante l’allenamento, vado sul lago di Garda o lui viene a Costa Volpino. Spesso mi segue anche nelle gare pronto a cambiarmi le gomme della bici se foro. Ma per il momento stiamo bene così e non facciamo progetti di matrimonio. Ho ancora tanta passione per la bici e spero di poter partecipare alle Paralimpiadi di Parigi fra tre anni. Ho rischiato di andare a quelle di Tokyo, sono stata in raduno con la Nazionale ma poi i tecnici hanno scelto tre ragazze con l’handbike». La sua giornata è scandita dagli allenamenti intorno al lago di Iseo o a quello del Garda, dalla palestra e dalla lettura. «Sono un’appassionata di Ken Follett, ho letto tutti i suoi libri, uno al giorno. Ora sto leggendo “L’assassino cieco” di Margaret Thatwood. Mi piacciono i gialli e li divoro». Come la pasta quando fa molti chilometri o un’insalata leggera quando ne fa pochi. «Adesso però devo perdere un po’ di chili che ho messo dopo gli incidenti, e allora tanta palestra». Sempre sorridendo e disponibile ma con tanta voglia di “spingere” come sottolinea lei. A luglio la sua tenacia è stata premiata dal Consiglio regionale della Lombardia. «Oggi abbiamo premiato non solo una grande atleta» aveva detto il consigliere Dario Violi «ma un esempio per tutti noi, una giovane ciclista che dopo un brutto incidente ha saputo rialzarsi ed è tornata in sella a vincere medaglie. Nello sport e nella vita ci vuole dedizione, passione e Claudia incarna in pieno lo spirito caparbio dei lombardi. L’augurio che le faccio è di non perdere mai quella grinta e quella tenacia che l’hanno resa così forte». 

E questo è anche il messaggio che Claudia lancia a chi come lei ha sofferto o soffre: mai lasciarsi andare, bisogna reagire. «Questi riconoscimenti mi rendono felice tanto quanto le vittorie sportive perché significa che c’è chi crede in me». E ricorda gli incontri con Alex Zanardi in Nazionale e Giro d’onore della Federazione nel 2016 del Coni e quello che lui le disse: «Non guardare la metà che non hai ma quella che ti è rimasta e ho fatto mio il suo motto: fai il meglio che puoi con quello che hai». 

A cura di Lucio Buonanno

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