Le malattie infiammatorie croniche intestinali causate da meccanismi immunitari - dalla colite ulcerosa al morbo di Crohn - sono in crescita nel mondo occidentale, in prevalenza tra i giovani. Scopriamo di più, col dott. Valeriano Castagna, gastroenterologo e specialista in queste patologie.

Dott. Castagna, quali sono le malattie definite “infiammatorie croniche intestinali”?

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI o IBD, nell’acronimo inglese) sono malattie croniche immunomediate, caratterizzate da infiammazione dell’apparato gastrointestinale. Malattia di Crohn (MdC) e colite ulcerosa (CU) sono i due tipi principali.

Qual è l’incidenza di queste malattie? Chi ne viene colpito?

Le IBD sono malattie di lunga durata, che si manifestano precocemente in entrambi i sessi. Incidenza (nuovi casi annui) e prevalenza (i casi totali) sono aumentate notevolmente nella seconda metà del XX secolo, e dall’inizio del XXI le IBD sono state considerate tra le malattie gastrointestinali più diffuse nel mondo occidentale, con un’incidenza in costante crescita anche nei paesi di nuova industrializzazione. La maggior prevalenza si registra in Europa e nel Nord America (505 casi ogni 100.000 persone per la CU in Norvegia; 322 casi ogni 100.000 persone per la MdC in Germania). In Italia, pur mancando un registro per patologia, la stima è di 250.000 mila pazienti affetti da IBD (60% con CU e un 40% con MdC), con incidenza di 6-8 nuovi casi per 100.000 abitanti, in prevalenza giovani adulti (ma esistono casi anche tra bambini e anziani).

Quali sono le principali cause e i fattori di rischio?

Sebbene le cause precise delle IBD siano ancora ignote, si ipotizza che morbo di Crohn e colite ulcerosa possano svilupparsi in persone con particolare predisposizione genetica, esposte a determinati fattori ambientali (dieta, fumo, stress ecc.), con un microbiota intestinale alterato (disbiosi) e una risposta immunitaria disfunzionale.

Come si manifestano queste malattie croniche?

La malattia di Crohn solitamente coinvolge l’ileo terminale, cieco, l’area perianale e il colon, ma può colpire qualsiasi regione dell’intestino in modo discontinuo. Al contrario, la colite ulcerosa coinvolge il retto e può colpire parte del colon o l’intero viscere in modo continuo. La MdC mostra all’istologia un ispessimento della parete intestinale, con infiammazione a tutto spessore, ulcerazioni e fistole, mentre l’infiammazione nella colite ulcerosa è limitata a mucosa e sottomucosa. La colite ulcerosa può essere classificata, in base all’estensione, in proctite (limitata al retto), colite sinistra e colite estesa. La proctite colpisce il 30-60% dei pazienti e i sintomi comprendono sanguinamento rettale, tenesmo (contrazione spasmodica del retto) e urgenza defecatoria.
La colite sinistra (16-45% dei pazienti) presenta sintomi di proctite, oltre a diarrea e crampi addominali. La forma più grave, detta colite estesa o pancolite (15-35% dei pazienti), si manifesta con i sintomi della colite sinistra, affaticamento e febbre. I pazienti con Morbo di Crohn presentano sintomi che includono dolore addominale, febbre e segni clinici di ostruzione intestinale o diarrea con passaggio di sangue o muco. Oltre ai sintomi gastrointestinali, il 25-40% dei pazienti con IBD può esprimere manifestazioni extraintestinali, che colpiscono principalmente articolazioni (artrite periferica, principalmente delle grandi articolazioni, e artropatia assiale, che provoca dolore lombo-sacrale), pelle (eritema nodoso, pioderma gangrenoso e ulcere aftose), fegato (colangite sclerosante primitiva) e occhi (episclerite, uveite).

Come si arriva alla diagnosi?

Il metodo più efficace per la
diagnosi è una colonscopia, con biopsie dell’area interessata. Questa metodica differenzia accuratamente CU da MdC e viene utilizzata anche per monitorare la gravità della malattia. L’imaging ecografico (studio delle anse intestinali) e radiologico (TAC, RMN) gioca un ruolo importante nella diagnosi precoce delle IBD. Può fornire evidenza di alterazioni intestinali in pazienti con sospetta IBD, in particolare MdC, precisandone la distribuzione lungo il tratto gastrointestinale. Attività di malattia e risposta alle terapie possono essere verificate anche tramite biomarcatori, quali la proteina C-reattiva (CPR), la velocità di eritrosedimentazione (VES) e la calprotectina fecale (CPF).

Qual è il trattamento che può alleviare i disagi?

La terapia farmacologica varia in base alla gravità va dai salicilati (mesalazina, salazopirina), ai cor-tisonici sistemici e a bassa biodisponibilità, dagli immunosoppressori (tiopurine, metotrexate), ai farmaci biotecnologici come gli anticorpi monoclonali (anti-TNF alfa, anti α4/ß7 integrina, anti-interleuchina 12 e/o 23), le cosiddette piccole molecole (anti-JAK come tofacitinib, filgotinib, upadacitinib), mediamente con buona risposta. Il rischio di dovere essere sottoposti a chirurgia è tuttavia ancora elevato: si stima che, a dieci anni dalla diagnosi, circa il 40% dei pazienti con Morbo di Crohn vada incontro a un intervento di resezione intestinale e circa il 20% dei pazienti affetti da pancolite ulcerosa a procolectomia restaurativa (asportazione del colon e costruzione di una “pouch”, sorta di neo-retto realizzato con l’intestino tenue). Un ruolo sempre più importante sta assumendo la nutrizione poiché molti pazienti presentano deficit nutrizionali, che possono essere corretti mediante l’impiego di preparazioni ad hoc. 

A cura del Dott. Valeriano Castagna
Gastroenterologo specialista in malattie infiammatorie croniche intestinali
Humanitas Gavazzeni, Bergamo