Intervista a Tosca Rossi, Guida turistica accreditata da Regione Lombardia e Provincia di Bergamo.
Di certo possiamo dire che l’arte è qualcosa che si può declinare a molti, differenti ambiti: dalla musica alla fotografia, dalla pittura alla scultura, dalla letteratura al cinema. E possiamo anche affermare che l’arte è qualcosa in grado di emozionarci e farci stare bene. In questa intervista conosciamo da vicino Tosca Rossi, Guida turistica addebitata da Regione Lombardia e Provincia di Bergamo, che ci ha raccontato curiosità e sensazioni sul significato dell’arte.

Lei che è da sempre inserita nel mondo artistico e cerca di diffondere arte e cultura, ci può spiegare perché l’arte fa bene a grandi e piccoli?

Io credo che l’arte faccia bene in generale, anche perché è una conseguenza di quello che c’è attorno a noi. Quando si parla di un qualsiasi sito bisogna sempre andare all’origine della sua ubicazione, della sua storia e poi degli uomini che l’hanno in qualche modo definito. Penso sempre che, in primis, sia fondamentale acquisire la geografia, e quindi il luogo. Poi, con la geografia si crea il sito, si creano le condizioni utili per potersi insediare, quindi da lì nasce la storia. La storia è fatta di eventi, ma gli eventi sono fatti dalle persone. Le persone comunicano e la comunicazione è un codice, ma è anche qualcosa che si manifesta, che può essere verbale, può essere mimica facciale e posturale. Quindi l’arte è fondamentale da questo punto di vista anche se è una derivazione della geografia, della storia e poi della comunicazione. Fa bene ai grandi perché forse li aiuta a esprimersi, a far fuoriuscire quello che sentono e che spesso lasciano inespresso. Fa bene ai piccoli perché amplia il loro panorama visivo, li induce a riflettere e a scandire quella che è la forma, i colori, il movimento, gli accostamenti e permette di raccontarsi o riraccontarsi delle storie guardando immagini, disegni, personaggi che nell’età infantile rimandano all’immaginario, ai propri cari o all’attualità.

La bellezza, come diceva Dostoevskij, salverà il mondo. E di bellezza nell’arte ce n’è moltissima. Lei è d’accordo con questa affermazione?

Questa citazione, devo essere sincera, l’ho sentita un pochino inflazionata e snaturata al tempo del Covid. Non ricordo esattamente chi abbia “ripescato” questa citazione e ne abbia abusato su vari fronti e in vari ambiti. Mi ricordo quando, appunto, ne parlavano i medici, gli infermieri, forse qualcuno ha messo in bocca all’ambito sanitario questa frase. Mi ricordo che la citavano filosofi, giornalisti e anche persone che lavoravano nel mio stesso ambito. Io non la comprendo ancor oggi questa associazione, perché non riesco a mettere vicina la bellezza con tutto quel che è accaduto nel tempo del Covid. Siccome, ahimè, lego quella frase a quell’evenienza, a quel momento così tragico che ha colpito il mondo, non riesco a esserne pienamente d’accordo. Io credo che la bellezza sia qualcosa di relativo. Mi piacerebbe sostenere che saranno le persone che un giorno salveranno il mondo. Penso che la fede possa salvare il mondo, una fede in qualsiasi cosa, che sia religiosa, politica, che sia una vera convinzione. Credo che la trasparenza, la coscienza e i buoni propositi potranno salvare il mondo.

Fa la guida a Bergamo da molti anni e conosce ogni angolo della nostra città. Quali sono gli spazi che emozionano maggiormente i turisti?

Innanzitutto, quando i turisti giungono a Bergamo conoscono solo la distinzione tra “Berghem de sura e Berghem de sota”, quindi è importante far comprendere subito che la città è divisa in tre grandi porzioni che all’unisono la compongono: un solo cuore che batte e tre grandi porzioni che lo fanno palpitare. Fatta questa premessa e accompagnati in Bergamo alta, i turisti si suggestionano subito con la funicolare e col colpo d’occhio sulla piazza medievale appena escono. Ma i siti che proprio li fanno emozionare sono Piazza Vecchia e Piazza Duomo (soprattutto per la condensazione di edifici disposti a raggiera e quasi incastonati in uno spazio che va ad equilibrare quegli anfratti che sono l’anima di Bergamo Alta). Poi, varcando la soglia di questi edifici, non si aspettano che siano anche così profondi e che possano così bene dialogare tra loro. Anche quando vengono accompagnati sulle mure veneziane si emozionano poggiando lo sguardo sul fronte meridionale, che spazia sulla pianura, sugli Appennini e sulle periferie occidentali, ma anche su quelle orientali, si comincia a far vedere l’autostrada, il Monte Orfano che divide Bergamo e Brescia, i grattacieli di Piazza Gae Aulenti di Milano, la Madonnina del suo Duomo che luccica e tanti altri edifici che per i bergamaschi sono noti, ma per i turisti no. Ecco, anche questo emoziona e piace tantissimo. E poi arriva il Parco dei Colli. Nessuno si aspetta che Bergamo sia così green, che sia così protetta, che sia così racchiusa e soprattutto che non sia stata scalfita dall’urbanizzazione rispetto, ad esempio, a Brescia, città meravigliosa, che ha un comparto archeologico veramente incredibile e ben leggibile nell’impianto urbanistico romano, ma che ha subito un avanzamento edilizio consistente. Bergamo piace molto, suggestiona il fatto che la cinta delle mura abbia conservato e permesso di non snaturare il centro storico, preservandolo.

E lei che fa la guida da così tanto tempo, ci può fornire una classifica dei suoi monumenti/opere preferiti e perché?

È necessario fare un’importante distinzione tra guida classica e local. La guida classica accoglie il gruppo e lo accompagna in città svolgendo un percorso classico, standard, ideale per i viaggiatori che non hanno mai visto la città. Quindi si è obbligati a snocciolare e mostrare le cose più importanti: Piazza Vecchia, Piazza Duomo, Cappella Colleoni, il Duomo e la Basilica di Santa Maria Maggiore. Se c’è tempo si passa poi alle mura e all’Accademia Carrara. Io, però, sono anche guida local, faccio moltissimi percorsi per i locals perché voglio condividere in maniera corale tutto ciò che negli anni ho acquisito in base anche alla mia ricerca archivistica, cioè avendo frequentato gli Archivi di Stato, quello diocesano, storico, la Biblioteca civica Angelo Mai, l’archivio dell’Accademia Carrara e tanti fondi specifici per ricerche fatte per pubblicazioni, per saggi, per contributi di vario genere. Ecco, io cerco di divulgare questo tipo di ricchezza che ho acquisito grazie alle fonti storiche perché sono fondamentali. Proprio per questo mi diventa difficile poter dire quali sono 5 monumenti più importanti. Potrei dire quali sono i 5 percorsi che reputo più interessanti e che ancor oggi mi emozionano. Mi viene da pensare al percorso delle scalette medievali che porta proprio a intricarsi sul versante occidentale del Parco dei Colli, ma perché questo percorso replica l’antica A4, cioè l’A4 di oggi viene in qualche modo riletta da quella che per noi è Borgo Canale, dalle scalette, dalla Longuelo vecchia che poi immette sulla superstrada, sull’asse che poi porta verso est e verso ovest. Questo mi suggestiona perché dimostra che nulla è cambiato, nulla è modificato, basta solo rileggerlo in chiave moderna, in base a quello che è divenuto. Sicuramente questo intrico, questa mobilità, la toponomastica sono sempre interessanti, suggestivi e legati al nostro vernacolo e al nostro passato. Mi emoziono quando entro nella Basilica di Santa Maria Maggiore, consapevole che non l’abbiamo ancora completamente scoperta né visitata noi stessi. Tutto ciò mi riempie l’anima e mi fa capire il lavoro immenso che hanno fatto i nostri avi. Lei è stata la vera Signora della nostra città, la vera mecenate che poi si riflette sulle famiglie più importanti che poi hanno recuperato gli artisti e li hanno fatto lavorare in dimore private, in città, in campagna, ecco… se penso a questo magma che poi fuoriesce e si va ad infilare nelle singole dimore inebriando di bellezza tutto, sì… questo mi emoziona. Poi mi piacciono molto anche alcuni percorsi che ho ideato, ad esempio quello dei luoghi di piacere che dà modo di leggere la città da un punto di vista né morboso, né macabro, ma in grado di far comprendere per anche gli animi, le passioni, le tragedie e tutto quello che magari in passato non è stato raccontato o è stato dimenticato. Poi penso al mio artista, quello per cui ho scritto uno dei miei volumi, Alvise Cima: vorrei incontrarlo, fagli un sacco di domande, riuscire a scovare anche il suo intero parco opere che ancor oggi è ridotto a poche unità. Ho trovato di lui, ad esempio, la bottega iniziale, la secondaria, l’abitazione principale, la casa di campagna, i rapporti che ha intersecato con la nobiltà. Immagino di incontrarlo nelle vie di Città Alta, vestito con gli abiti del tempo. Un’altra cosa che molto mi suggestiona è la peste manzoniana, non perché la si sia rivissuta come il Covid, ma perché davvero è stato uno spartiacque. Con la peste manzoniana si chiudono moltissimi capitoli artistici e ne nascono degli altri e quindi anche quello è un ambito che mi piacerebbe sviluppare da qui in avanti. Ad oggi la città ancora mi entusiasma, ma perché faccio ricerca e perché ancora, consultando gli archivi, riesco a rintracciare cose nuove e a ideare percorsi nuovi.
Se non facessi questo tipo di ricerca e mi limitassi ai libri di taglio turistico, allora mi limiterei anch’io nel tempo a esaurire tutto quello che la città può proporre: conventi, monasteri, le case private, le famiglie gentilizie, le opere d’arte presenti, i vicoli, i vicoletti, le scalette, il Parco dei Colli… una volta che hai fatto quello che si vede in situ, la visita è completa. Ma se dagli archivi ricavi nuovi spunti,
automaticamente crei nuovi percorsi che ti portano a reintersecare quelli conosciuti e ad avanzare sempre più. 

A cura di Maria Verderio