Il lattosio è il principale zucchero del latte (ne rappresenta il 98%). Lo ritroviamo nel latte di mucca, di capra, di asina, nel latte materno e non solo, oltre ad altri prodotti lattiero-caseari derivati. L’intolleranza al lattosio è una condizione che interessa il 50% circa degli italiani e si traduce nell’incapacità dell’organismo di digerire completamente lo zucchero presente nel latte e nei suoi derivati.

Che cos’è l’intolleranza al lattosio?

Si parla di intolleranza al lattosio quando l’organismo non riesce a digerire lo zucchero contenuto nel latte e suoi derivati. Il lattosio è un disaccaride, ovvero uno zucchero composto da due zuccheri più semplici: galattosio e glucosio. A livello dell’intestino tenue, per essere correttamente digerito dall’organismo, il lattosio viene diviso nelle sue due componenti primarie dall’enzima lattasi. Se l’enzima lattasi è carente o insufficiente, il lattosio non può essere separato e pertanto l’organismo non può digerirlo. Ci sono quindi più livelli di intolleranza al lattosio, che dipendono dalla gravità dell’insufficienza dell’enzima lattasi. Non si tratta di una patologia pericolosa ma indubbiamente, a seconda del livello di gravità del deficit, può implicare una sintomatologia clinica più o meno debilitante per il paziente.

Quali sono le cause?

Le forme riconosciute nelle quali si differenzia l’intolleranza al lattosio sono tre:
> congenita, ovvero presente fin dalla nascita. Dipende da una mutazione genetica implicante una mancata produzione di lattasi. In questo caso non esiste una cura e l’intolleranza permane per tutta la vita;
> primaria, ovvero quando è legata all’età dato che, con il passare degli anni, i livelli di lattasi fisiologicamente subiscono una progressiva diminuzione;
> secondaria, quando la diminuzione della lattasi è dovuta a un’infezione virale oppure è conseguenza di un intervento chirurgico. Si tratta in questo caso di un problema temporaneo; una “disintossicazione” da lattosio può portare al ritorno alla normalità.

Quali sono i sintomi?

I sintomi compaiono a breve distanza dall’assunzione di alimenti contenenti lattosio poiché, come qualunque altro residuo alimen-
tare, se permane nel tratto intestinale, viene fermato dalla flora batterica. Il processo di fermentazione richiama liquidi nel colon e aumenta la produzione di gas. In questo modo si originano i principali sintomi, che includono diarrea o stitichezza, crampi addominali, gonfiore/meteorismo, flatulenza. Possono manifestarsi anche nausea, mal di testa, spossatezza ed eruzioni cutanee. La gravità dei sintomi varia in base a quanto lattosio si assume e alla gravità dell’intolleranza.

Come si individua?

È l’anamnesi alimentare a orientare il medico verso la diagnosi. Ma per avere la certezza che i sintomi riferiti dalla persona siano realmente dovuti all’intolleranza al lattosio, si può eseguire il breath test o test del respiro, l’esame diagnostico più diffuso per accertare questo tipo di intolleranza.

Che cosa è il breaht test?

Si tratta di un esame non invasivo che consiste nell’analisi dell’aria espirata dal paziente prima e dopo la somministrazione di una dose di lattosio. Se lo zucchero del latte non viene digerito e inizia a fermentare, si ha un’iper-produzione di idrogeno: se il test rivela che nell’aria espirata è presente un livello eccessivo di questo gas, significa che è presente l’intolleranza. È un esame indolore e non invasivo, e può essere eseguito anche sui bambini e le donne in gravidanza. Un test genetico, invece, può accertare l’eventuale origine o predisposizione genetica (sia omozigote che eterozigote) del disturbo.

Si può curare l’intolleranza al lattosio?

Non esistono metodi per prevenire lo sviluppo di un’intolleranza al lattosio, l’unica soluzione è eliminare questo elemento dalla dieta. I sintomi possono essere eliminati o comunque ridotti solo seguendo una corretta alimentazione. Il consiglio è quindi di rivolgersi a un medico nutrizionista per non correre il rischio di sviluppare carenze legate alla completa eliminazione di latte e derivati dalla dieta. I formaggi stagionati (come grana, parmigiano, provolone e pecorino), generalmente non danno problemi, a meno che l’intolleranza non sia particolarmente grave, poiché il processo di stagionatura dei formaggi riduce notevolmente la presenza di lattosio. Bisogna invece evitare il latte vaccino, di capra e di altri animali, i formaggi freschi (come mozzarella, certosa e formaggi a pasta molle) e tutti i prodotti a base di latte (gelati, burro, creme, pane, prodotti da forno, cioccolato al latte). In alternativa, si possono consumare latti delattosati (ossia privi di lattosio) e prodotti caseari arricchiti da Lactobacillus acidophilus, un batterio che digerisce il lattosio, o a base di lattasi o lattosio predigerito. Ricordiamo che il lattosio è spesso usato come additivo e quindi può essere presente in insaccati, affettati, purè, sughi, dado da brodo e alimenti in scatola, nonché in alcuni medicinali. In caso si vogliano assumere latticini o derivati anche in presenza di deficit di lattasi, può essere utile assumere prima di mangiare enzimi contenenti lattasi.

A cura di Ivana Galessi
con la collaborazione del Dott. Roberto Noris
Medico Specialista in Gastroenterologia ed endoscopia digestiva,
Humanitas Castelli Bergamo