Ahmed Alanni, iracheno, è dovuto scappare da Bagdad perché la sua vita era in pericolo. A Bergamo ha ricominciato da zero, ma dopo tanti sacrifici è tornato a fare quello per cui aveva studiato: il farmacista

Ha scelto l’Italia e non la Svezia, al contrario di molti suoi connazionali, e non ne è affatto pentito. «Lì ci sono i vantaggi del welfare, ma è difficile costruire rapporti, si fa fatica a socializzare. Qui le cose sono diverse, la gente è molto più accogliente». La storia del dottor Ahmed Alanni rappresenta una luce di speranza per tutti quelli che vivono in Paesi dove la guerra e la situazione politica mettono a repentaglio i principi stessi dell’esistenza. Fortunatamente, le scelte difficili e i sacrifici hanno avuto per lui un esito felice: un modello di rinascita e integrazione.

«In Iraq stavo bene. Mi sono laureato all’Università di Bagdad e avevo una farmacia annessa a una piccola clinica privata. Ma a un certo punto la situazione politica e la guerra mi hanno costretto a decidere di andarmene insieme a mia moglie: sono stato minacciato più di una volta». Era il 2014 e Ahmed cercava un posto dove poter vivere serenamente, senza più paura: per questo ha scelto l’Europa. Ha chiesto lo status di rifugiato politico e nel 2016 l’ha ottenuto.

Questi sono gli anni in cui comincia a imparare l’italiano: «All’inizio sapevo dire solo “buongiorno” e “ciao”, perciò ho dovuto ricominciare da zero e fare tantissimi corsi per imparare la lingua: ho frequentato anche la scuola media. Giravo in bicicletta per tutti i centri di formazione e lavoro a Bergamo per iscrivermi a tutti i corsi gratuiti possibili, anche a quelli per diventare pizzaiolo o magazziniere, più che altro per impratichirmi con l’italiano».

Sempre nel 2016, con un figlio in arrivo, ha cominciato a lavorare, prima come mediatore culturale e poi come operatore della Cooperativa Ruah, in un centro di accoglienza per richiedenti asilo nel periodo dell’emergenza sbarchi. «Viste le mie competenze, nell’arco di un paio d’anni sono diventato il referente sanitario della struttura».

Nel 2019 ha deciso di lasciare il lavoro per iscriversi al corso di laurea in Farmacia dell’Università Statale di Milano e ottenere così il riconoscimento del suo titolo di studio. È dovuto partire dal quarto anno, ma ha dedicato tutto il suo tempo allo studio, dimostrando una grande volontà. «Sono riuscito a superare tutti gli esami, una ventina, e anche l’esame di Stato in appena due anni, nonostante l’emergenza sanitaria e la situazione complicata di quel periodo: per molti mesi ho seguito le lezioni online, a parte le ore di laboratorio, che ho frequentato obbligatoriamente in presenza».

L’ultimo anno, il piano di studi prevedeva 900 ore di tirocinio da svolgere in una struttura ospedaliera o in una farmacia privata del territorio. Ahmed si è quindi rivolto alla farmacia Sella di Bergamo, di cui era già cliente (abitava lì vicino) e già prima di laurearsi la dottoressa Cristina Sella gli ha offerto un lavoro. «Sono felice di aver trovato lavoro in un ambiente sereno e tranquillo. Mi sento molto soddisfatto, anche per aver preso parte alle campagne di prevenzione sul territorio: lo scorso anno ho vaccinato più di 300 persone contro il Covid e circa 250 persone contro l’influenza (la maggior parte erano over 65); ho fatto tamponi a oltre 1000 persone. Insomma, sono orgoglioso di essere stato parte attiva nel contenimento della diffusione del virus».

In certi momenti non è stato facile: soprattutto all’inizio, l’umore era basso. «Ma mia moglie mi ha dato forza. Lei è dentista, anche se non ha mai fatto il riconoscimento del suo titolo di studio: si occupa di nostro figlio, che ora ha 7 anni». Inizialmente la coppia ha vissuto per un breve periodo a Roma, poi per otto giorni a Milano: la metropoli non li ha conquistati, mentre a Bergamo si sono trovati benissimo. «Mi manca la mia famiglia, naturalmente. Da quando sono partito ho incontrato i miei genitori solo due volte, ma in Giordania, perché come rifugiato politico è troppo rischioso tornare in Iraq. Il mio Paese mi manca, anche se quello attuale non è l’Iraq che conosco io».

Nonostante la religione e le usanze diverse, Ahmed non ha mai avuto problemi a Bergamo. «Mi sono sempre sentito a mio agio. I colleghi sono curiosi sul regime alimentare di noi musulmani, nulla di più. Mio figlio a scuola sa che non può mangiare alcune cose, ma vive la situazione con grande serenità. Sa di essere in Italia ma di non essere italiano. Almeno per il momento». 

A cura di Claudio Gualdi

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