«Se sono di fronte a un bellissimo tramonto con dei colori e delle sfumature che nessun dispositivo sarà mai in grado di riprodurre, in un luogo emozionante, in un momento magico, ovvio che se prendo il cellulare per cercare di trattenere quell’emozione in uno scatto o un video, non posso godere pienamente del momento perché in quel frangente mi stacco, perdo la connessione con l’emozione, insomma faccio altro, tipo occuparmi di prendere la giusta inquadratura o immaginare “la cornice social” in cui usare le immagini... sono altrove, mi sono perso la possibilità di farmi colpire, di godere di un’esperienza irripetibile che è prevalentemente emotiva. Il rischio, quando se ne abusi, è quello di disabituarsi poco alla volta, magari senza neanche accorgersene, a cogliere e gustare le tante sfumature del vivere. Il rischio è l’anestesia emotiva» si accalora il dottor Marco Ghezzi, psicologo e psicoterapeuta, quando iniziamo a parlarne.

Dottor Ghezzi, come funziona più in dettaglio?

Le esperienze percettive, emotive e di rapporto con gli altri contribuiscono in maniera decisiva a costruire un’immagine di sé e del mondo autentica e realistica, perciò sufficientemente affidabile. Sono esperienze uniche, irripetibili e ricche di sfumature e, poco alla volta, aiutano a definirsi, a conoscersi sempre più in profondità, a diventare persone. Sono mattoncini che, messi uno sopra l’altro, ci aiutano a collocarci nel rapporto con il mondo e poi a discriminare, con sensibilità e finezza, tra le tante coppie di opposti insite nel vivere, giusto e sbagliato, bello e brutto, fino a imparare a decidere quali sono i comportamenti appropriati ai diversi contesti. In definitiva, aiutano a destreggiarsi nel vivere la vita.

In questo senso quali sono le differenze tra persone adulte e persone più giovani?

Considerando che si parla di una rivoluzione tecnologica il cui avvento risale a una quindicina di anni fa, una persona adulta ha già strutturato una personalità, definita attraverso innumerevoli esperienze percettive, emotive e interpersonali “autentiche” e non filtrate così massicciamente da media , costruendosi così un archivio (memoria) ricco di sfumature, profondità e contraddittorietà che sono nutrimento essenziale per l’immaginazione e la formazione di un pensiero creativo e presupposto per la strutturazione di un pensiero critico. Un adulto, quindi, si suppone abbia l’esperienza per gestire adeguatamente il suo rapporto con lo smartphone. Viceversa, un individuo in età evolutiva che sta formando la sua personalità, se passa tanto tempo sullo smartphone, corre il rischio di confondersi tra gli apprendimenti di un’esperienza diretta e personale e gli infiniti e ridondanti stimoli di esperienza mediata dai modelli esterni che, nell’attualità, sono veicolati massicciamente dai social. Non dimentichiamo che i social network sono costruiti per farti stare dentro a quel mondo più tempo possibile. Nella testa di un adolescente, per il quale il confronto con i pari è sempre attivo oltre che necessario, la continua esposizione ai modelli proposti sulle piattaforme social rischia di dettare l’agenda dei comportamenti a cui serve adeguarsi per sentirsi accettati.  Altrettanto importante è comprendere quanto sia centrale, per gli adolescenti, il rapporto con lo smartphone – di fatto una porta d’accesso al mondo adulto. All’interno del dispositivo c’è un mondo di opportunità infinite, risorse semplici da utilizzare anche per evitare la fatica del ragionamento (ChatGPT è solo una di queste), un archivio di informazioni ad accesso immediato, servizi e app che risolvono ogni quesito possa venire in mente, giochi e interattività 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Il mondo dell’immediatezza aumenta il rischio che si crei un’illusione di onnipotenza, che l’adulto riconosce essere tale, mentre l’adolescente va aiutato a comprenderne il funzionamento. Soprattutto, va prima lasciato libero di apprendere nel mondo “analogico”, di interagire quanto più possibile con altre persone, di fare il suo percorso di prove ed errori che forgerà la sua resistenza, arricchirà la sua intelligenza, gli permetterà di conoscere il suo corpo e affinerà la sua emotività, per renderlo un giovane individuo capace di amare e di cogliere gli aspetti contraddittori del vivere. A questo punto si può consegnare il cellulare all’adolescente, confidando che lo utilizzi in maniera sensata.  

Rimanendo connessi costantemente, ci si disabitua all’ascolto di sé e degli altri e al mondo pieno di bellezza che ci circonda

Come si può costruire quindi un “rapporto sano” con il mondo dei social?

L’avvento dei social network ha sconvolto le abitudini e le prassi dell’interazione tra persone. Prima di essi, le fotografie venivano scattate per mantenere il ricordo di un’esperienza e magari scambiate con poche persone, intime e fidate. C’era una certa cura della privacy e anche più pudore. Al giorno d’oggi, invece, tutto è di tutti e pare che l’invito latente sia quello di esporre ed esporsi senza filtri, in un carosello di immagini ridondanti, standardizzate e immediatamente dimenticate. È sorprendente osservare come immagini e video personali esposti sulle bacheche social siano offerti gratuitamente e spontaneamente dagli stessi utenti. Il tema centrale, quindi, è imparare a servirsi dello smartphone in modo critico e funzionale, usandolo piuttosto che “farsi usare”. Lo smartphone e i suoi strumenti ci hanno rivoluzionato la vita, rendendo molto più semplici tante operazioni quotidiane. Tuttavia, è fondamentale avviare un pensiero su un uso maggiormente consapevole, critico, moderato di essi.Diciamola tutta, la sensazione è che questo dispositivo sia diventato quasi una protesi irrinunciabile di sé, senza la quale saremmo perduti. È altrettanto vero che è proprio quando si è immersi pienamente nel gustare un particolare momento che ci si rende conto di essere vivi, nel senso più autentico e poetico del termine. La sfida è trovare il giusto equilibrio. 

A cura di Ivana Galessi
con la collaborazione del dott. Marco Ghezzi Psicologo e Psicoterapeuta, Esperto in Emdr a Bergamo