Oggi si sente parlare spesso di trattamenti di ossigenoterapia in camera iperbarica, soprattutto quando si registrano emergenze per persone vittime di intossicazione da monossido di car-
bonio (spesso d’inverno) o per una patologia da decompressione nei sub che si sono immersi in profondità (più frequenti d’estate).

Ossigeno come terapia

L’ossigenoterapia iperbarica è un trattamento che prevede la respirazione di ossigeno puro nelle cosiddette camere iperbariche, ambienti pressurizzati a una pressione superiore rispetto a quella atmosferica. In tal modo, tessuti e cellule possono essere mantenuti in vita anche nel caso di carenze di irrorazione di sangue o di inefficienza del trasporto di ossigeno da parte dell’emoglobina (proteina all’interno dei globuli rossi che permette all’ossigeno di raggiungere le diverse parti del corpo).

Un dannoso accumulo di azoto

Nel caso di una patologia da decompressione, se vengono superati i limiti di sicurezza previsti per l’immersione o se la velocità di risalita è eccessiva, la quantità di azoto che il subacqueo ha accumulato durante l’immersione attraverso la respirazione di aria dalla bombola non viene eliminata correttamente dall’organismo. L’elevata pressione a cui il subacqueo è sottoposto durante l’immersione, infatti, causa il deposito di azoto in forma disciolta nel sangue e nei vari tessuti: se la fase di risalita avviene a una velocità superiore a quella prevista, la componente di azoto disciolta nei tessuti può liberarsi in forma gassosa e provocare pericolose bolle che si comportano come veri e propri emboli. Queste bolle possono formarsi in tutti i distretti corporei e ciò spiega perché i sintomi e le conseguenze di questa patologia siano molto variabili.

Due tipi di patologia da decompressione

La forma più lieve di patologia da decompressione è quella di tipo 1, che colpisce la cute, con prurito e arrossamenti più o meno diffusi, e/o le articolazioni, con dolore e limitazione nei movimenti. La presenza di bolle d’azoto nell’encefalo o nel midollo spinale caratterizza invece la forma di tipo 2, più pericolosa. In questo caso la sintomatologia è di tipo neurologico: a seconda delle zone dell’encefalo e/o del midollo spinale interessate, i disturbi possono essere di tipo sensitivo, motorio, visivo ecc. Le bolle d’azoto possono presentarsi anche a livello dei polmoni,
determinando difficoltà respiratoria, e dell’orecchio interno, provocando vertigini e ipoacusia. Nel caso in cui le bolle dovessero coinvolgere il tronco encefalico, che collega cervello e midollo spinale, il sub potrebbe anche essere colpito da un arresto respiratorio.

Un altro pericolo: l’embolismo gassoso

In caso di brusche risalite dalle profondità il subacqueo può andare incontro a un altro evento molto pericoloso: l’embolismo gassoso arterioso. In questo caso la rapida riduzione di pressione a cui il sub viene esposto determina una rottura traumatica di strutture anatomiche dell’apparato respiratorio, con conseguente immissione di gas (embolismo gassoso) nel sangue che scorre nelle arterie presenti a livello cerebrale.

L’ossigenoterapia iperbarica come trattamento indicato

Per tutte queste forme patologiche correlate alle immersioni subacquee è indicato il trattamento con ossigeno iperbarico. Il ricorso alla camera iperbarica in regime
di emergenza è un intervento medico rianimatorio che avviene al termine di un processo che prevede necessariamente il passaggio della persona colpita attraverso un Pronto Soccorso, dove il medico ospedaliero dovrà formulare una diagnosi e contattare il centro iperbarico di riferimento. Se il trattamento è precoce, si favoriscono la dissoluzione delle bolle di azoto e il ripristino della funzionalità dell’organo coinvolto dalla patologia da decompressione; se invece trascorre troppo tempo, la bolla gassosa viene riconosciuta dall’organismo come un vero e proprio corpo estraneo, che si comporterà come una sorta di coagulo, che risponderà molto più difficilmente alla terapia. Si tratta quindi di un’emergenza medica in cui il fattore tempo è determinante ai fini prognostici.

Oltre le patologie da decompressione

L’utilizzo della medicina iperbarica si può estendere a un’ampia gamma di patologie, oltre a quelle finora citate. Per esempio nel caso di infezioni necrosanti progressive, lesioni da schiacciamento/traumatiche e fratture a rischio, innesti cutanei e lembi a rischio, ipoacusia improvvisa, osteomielite cronica refrattaria, ulcere cutanee croniche, lesioni tissutali post-attiniche, piede diabetico, osteonecrosi asettica e sindrome algodistrofica, cicli di sedute di ossigenoterapia iperbarica possono risultare molto utili nel processo di guarigione dei tessuti danneggiati. In queste condizioni l’ossigeno somministrato in camera iperbarica equivale a un potente farmaco, a volte con una vera e propria azione salvavita, che deve essere somministrato seguendo schemi terapeutici specifici per ogni patologia e paziente come da indicazioni delle Società scientifiche di settore, e i benefici che si ottengono possono essere considerevoli. L’otorinolaringoiatra per i casi di ipoacusia improvvisa, il chirurgo vascolare e il vulnologo per le ulcere di varia natura e l’ortopedico per le necrosi asettiche o le sindromi algodistrofiche sono figure cardine nell’indirizzare il paziente all’ossigenoterapia iperbarica: queste e altre figure specialistiche, insieme ai medici di medicina generale, possono infatti dare indicazione a questo tipo di terapia, che è eseguibile in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale. 

A cura de Dott. Andrea Giovanniello
Responsabile del servizio di Medicina Iperbarica Habilita I Cedri, Fara Novarese (NO)