È presente tra gli uomini da più di duemila anni (il primo riferimento sembra sia nella Bibbia) e l’acaro che la provoca è invisibile a occhio nudo. Si tratta della scabbia, una malattia contagiosa che si manifesta sulla pelle provocando prurito diffuso e lesioni confondibili con un eczema o eruzioni orticarioidi (il termine scabbia deriva infatti dal latino scabere, che significa grattare).

È la femmina di acaro a determinare il contagio

Il contagio avviene da parte della femmina di acaro gravida. Quest’ultima, infatti, scava una piccola galleria nella pelle, il “cunicolo della scabbia”, in fondo alla quale deposita quotidianamente due o tre uova che si dischiudono dopo 3-4 giorni, lasciando fuoriuscire le larve che, a loro volta, giungono a maturità dopo circa due settimane e si accoppiano. Nelle persone affette, il numero di parassiti è, in genere, limitato a poche unità. Solo nella scabbia norvegese (così chiamata in quanto descritta per la prima volta in Norvegia a metà dell’800), osservata in individui deperiti, il numero di unità può essere di molte decine o centinaia.

Si trasmette per contatto diretto

La modalità di trasmissione più comune della scabbia è il contat-
to cutaneo diretto con una persona già contagiata: è necessario tuttavia un contatto protratto nel tempo, come durante i rapporti sessuali o nel periodo di accudimento di un anziano, affinché si possa verificare il contagio. La trasmissione indiretta è invece
rara, in quanto gli acari della scabbia non vivono più di 48 ore lontano dalla cute dell’uomo, sui vestiti o nei letti. La scabbia è pandemica, cioè è diffusa in tutto il mondo, e può colpire chiunque, in qualunque fascia di età, senza distinzione di sesso o etnia, indipendentemente dal livello sociale o dall’igiene. Più spesso, però, sono interessati giovani adulti che si trasmettono l’acaro per contatto sessuale o anziani costretti a letto da malattie. Il periodo di contagiosità dura nel tempo fino a quando il paziente non esegue un trattamento adeguato.

Una grande simulatrice

I segni e i sintomi della scabbia si presentano, in genere, dopo un periodo di incubazione di 3-4 settimane. Buona parte dei sintomi è connessa allo sviluppo di una reazione di ipersensibilità ai prodotti proteici dell’acaro e, in caso di re-infestazione, il periodo di incubazione è più breve (3-4 giorni). 
Il sintomo principale della scabbia è il prurito continuo e particolarmente intenso durante le ore notturne che, inizialmente, può comparire anche in assenza di lesioni cutanee. Le manifestazioni cutanee che si presentano successivamente all’esordio del prurito hanno aspetto variabile: placche arrossate o lesioni che ricordano l’eczema o l’orticaria. Il viso e il cuoio capelluto sono, in genere, risparmiati, salvo nei soggetti immunodepressi e nella prima infanzia. Segni importanti sono la formazione di noduli pruriginosi, fissi, a livello dei genitali, delle ascelle, e, nel bambino piccolo, sul palmo delle mani e sulla pianta dei piedi. Un segno caratteristico, ma difficile da individuare, è il cunicolo della scabbia, che appare come una sottile linea grigiastra, arcuata, talora finemente desquamante, della lunghezza di alcuni millimetri e localizzata più frequentemente tra le dita delle mani, sui polsi o nella regione mammaria, glutea o genitale. Nella scabbia norvegese si osserva un’eruzione cutanea diffusa con arrossamento e desquamazione e con interessamento del cuoio capelluto e delle unghie, tutti aspetti che possono ricordare la psoriasi. Tale condizione può decorrere con prurito limitato o assente, fatto che rende difficile la diagnosi. La scabbia norvegese colpisce soprattutto i pazienti immunodepressi ed è estremamente contagiosa in quanto le diminuite difese immunitarie dell’ospite favoriscono la proliferazione massiva degli acari.

Più elementi per una diagnosi certa

La diagnosi di sospetto si basa su una combinazione di aspetti:
> prurito intenso con recrudescenze notturne;
> presenza di lesioni più o meno caratteristiche nelle sedi tipiche descritte;
> riscontro della stessa sintomatologia in persone a stretto contatto con il paziente affetto, a testimonianza della contagiosità della malattia.
La diagnosi di certezza si pone invece con l’identificazione dei cunicoli e con l’evidenza dell’acaro, delle uova o degli escrementi all’interno di essi, dopo aver prelevato il materiale con un piccolo bisturi passato sulla cute.

Importante eliminare l’acaro…

Il trattamento consiste nell’uso di farmaci in grado di uccidere l’acaro (scabicidi) e distruggere le uova, applicati sulla cute o assunti per via sistemica. Si ricorre, più spesso, a preparazioni galeniche per applicazione locale, ovvero prodotti preparati dal farmacista su indicazione del dermatologo, a base di permetrina al 5% o di benzoato di benzile al 10-25%. È importante applicare questi prodotti su tutto il corpo, dal collo in giù, dopo un bagno caldo, e poi eseguire un’energica frizione della pelle, specie nelle sedi dove più frequentemente si localizzano i cunicoli. Dopo 8-12 ore dall’applicazione, i prodotti antiscabbia vanno rimossi con dell’acqua. 
Nei bambini piccoli il coinvolgimento del cuoio capelluto è comune pertanto, in questi pazienti, l’applicazione del prodotto scabicida (si predilige la permetrina) dovrebbe essere estesa anche al cuoio capelluto e al viso, risparmiando gli occhi e la regione attorno alla bocca. Una seconda applicazione del trattamento topico viene spesso proposta una settimana dopo la prima applicazione. Tuttavia, l’efficacia relativa di una seconda applicazione non è chiaramente definita. Un trattamento di profilassi andrebbe eseguito in tutti i conviventi e nelle persone a stretto contatto con il paziente.

Come evitare che la scabbia si diffonda
La scabbia è una malattia soggetta a notifica obbligatoria da parte del medico che esegue la diagnosi. Il servizio di Igiene Pubblica che riceve le segnalazioni può monitorare la situazione e risalire alle presunte modalità di contagio. Quando un caso di scabbia si verifica in una comunità (asili, centri sociali…) è necessario isolare la persona affetta per almeno 24 ore dopo la conclusione del trattamento specifico. I membri della comunità devono invece essere sottoposti a sorveglianza sanitaria, per verificare se nel lasso di tempo di 6-8 settimane compaiono sintomi. 

… anche nell’ambiente circostante

Anche la disinfestazione degli ambienti domestici e degli effetti personali riveste un ruolo importante. Gli indumenti a contatto con la pelle, la biancheria, le federe e le lenzuola dovrebbero essere lavati ad alta temperatura (almeno 60 gradi), mentre tutto ciò che non può essere lavato andrebbe lasciato all’aria per almeno due o tre giorni in una stanza chiusa. Come ricordato, infatti, l’acaro non sopravvive a lungo lontano dalla pelle umana.

L’acaro della scabbia descritto per la prima volta da due italiani
Furono il medico livornese Giovanni Cosimo Bonomo e il naturalista Diacinto Cestoni a descrivere per primi l’acaro della scabbia nel 1687, anche se la loro scoperta non fu subito accettata: l’acaro, infatti, misura 0,4 mm di diametro e non è visibile a occhio nudo. Quando osservato al microscopio ottico, l’acaro ha forma ovoidale, colore grigiastro e possiede quattro paia di zampe corte e tozze: le anteriori sono munite di ventose e le posteriori di lunghe setole. 

Se il prurito non se ne va

Il prurito può persistere per varie settimane anche dopo un trattamento efficace. I farmaci, infatti, uccidono l’acaro, ma i residui del corpo del parassita rimangono nella cute per un certo periodo di tempo e costituiscono uno stimolo antigenico (cioè determinano una reazione del sistema immunitario). Gli antistaminici per via orale hanno un limitato effetto sintomatico sul prurito, pertanto si può ricorrere all’applicazione di corticosteroidi topici e di emollienti. Talvolta la persistenza del prurito e delle lesioni cutanee può dipendere dal fallimento della terapia (trattamento eseguito erroneamente o resistenza dell’acaro al prodotto impiegato) oppure da una re-infestazione, sempre possibile. In caso di fallimento della terapia topica, è raccomandabile far ricorso a una terapia sistemica col farmaco ivermectina, assunto per via orale a dosaggi che dipendono dal peso della persona. Per la gestione corretta della terapia e le indicazioni più adeguate per la persona colpita e chi le sta intorno è sempre importante fare riferimento al dermatologo. 

A cura del Dott. Luigi Naldi
Specialista in Dermatologia
Unità Complessa di Dermatologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza
e Centro Studi GISED, Bergamo