Rallentare fino a volte a fermarsi, sfuggire dal materialismo e dal consumismo, eliminare il superfluo e l’inutile, per ottenere in cambio maggiore libertà, più tempo per quello che conta davvero e più felicità. È questa la promessa del downshifting, una filosofia di vita che sta prendendo sempre più piede anche nella nostra società, applicabile in tutti gli ambiti, da quello lavorativo a quello personale.“Quand’è stata l’ultima volta che vi siete presi tempo per non fare nulla?”: è questa la domanda che ci pone il docente di meditazione Andy Puddicombe, in un famoso Ted Talk. La verità è che in una società che macina movimento, in cui come ingranaggi ci perdiamo nello scorrere del tempo, non si ha tempo per perderlo il tempo. Eppure fermarsi è sinonimo di salute, anche solo perché riduce la possibilità di attivare il cosiddetto stress cronico, causa di diverse manifestazioni psicosomatiche (emicranie, mal di pancia e via discorrendo). Un fenomeno ben capace di descrivere questa direzione è quello del downshifting, una rivoluzione che tutti dovremmo condividere e la cosa più bella è che non dobbiamo fare assolutamente nulla per intraprenderla. Sembra un paradosso, ma è quello che accade quando decidiamo di fermarci in un mondo dove tutto si muove» osserva Alessandro Fortis, formatore e coach.

Cosa significa il termine downshifting e in che contesto nasce?

Questo termine, il cui significato è “scalare le marce”, è stato coniato nel 1994 dal Trends Research Institute di New York e vuol descrivere la necessità sempre più impellente di vivere in modo più slow. Letteralmente “scalare le marce”, significa rallentare il ritmo, trovare un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e di conseguenza non accettare passivamente le priorità del lavoro e del profitto su tutto il resto. Il downshifting è una sfida che oltre a essere capace di riconsegnarci un tempo perduto (ad esempio quello per noi o per la nostra famiglia), è considerata da più ricerche un modo per aumentare la produttività, soprattutto nei lavori di taglio cognitivo e creativo. Un esempio su tutti è la sede della Toyota di Göteborg (Svezia), dove da ben tredici anni l’orario giornaliero è limitato a sole sei ore: i manager dello stabilimento assicurano che, in questo lasso di tempo, è stato riscontrato un incremento degli utili, parallelamente a un minor tasso di assenze per malattia e cali dell’umore. Esistono però anche realtà italiane che praticano tale filosofia e, nonostante siano ancora una minoranza, è un trend che si sviluppa in tutta Europa, con progetti pilota attivi in tantissime aziende. Una delle critiche che si potrebbero sferrare a questo movimento è quella per cui le persone si troverebbero a guadagnare di meno. Vero, ma non sempre. Altrettanto potremmo dire che con questa direzione potremmo imparare a consumare meno, concentrandoci sulle cose più importanti. A beneficiare di questo stile di vita sarebbe anche l’ambiente: anzitutto perché la decrescita prevede meno inquinamento, indotto da un’altra pratica tipica di tale movimento, il lavoro in remoto. In secondo luogo perché saremmo più inclini a rispettarlo, proprio per il fatto che torneremmo in contatto con esso e i benefici che ci può donare.

Come mettere in pratica, quindi, questo nuovo stile di vita?

Anzitutto imparando a dire di no ad attività inutili, anche professionalmente parlando.In secondo luogo cercando di rendere prioritaria la nostra salute e quella delle nostre comunità affettive, anche a costo di cambiare abitudini e obiettivi professionali. Infine imparando a desiderare di meno, soprattutto eliminando il superfluo. Come disse Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay, “Lo sviluppo non può andare contro la felicità, ma deve essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, delle cure ai figli, dell’avere amici, dell’avere il necessario”. Altro fenomeno simile al downshifting e degno di attenzione è quello del minimalismo, un approccio alla vita che abbraccia la semplicità, rifuggendo dai pericoli legati agli eccessi. Una corrente di pensiero che fornisce alcuni consigli utili al nostro benessere, come l’importanza di concentrarsi solo su una cosa alla volta o di definire ciò che davvero è per noi prioritario, puntando alla qualità. Una sorta di decluttering (ndr. termine inglese che significa eliminare il superfluo) orientato all’essenziale e capace di farci perdere il superfluo per apprezzare di più quello che si possiede. In questo senso è interessante l’indicazione fornitaci dallo scienziato Brian J. Fogg: “Quando comprate un nuovo oggetto, che deve essere davvero essenziale, eliminatene almeno uno vecchio”. Il minimalismo ci aiuta a eliminare le cose inutili, dai pensieri alla conoscenza sino a giungere agli oggetti. Potremmo estendere il concetto anche ai processi di impresa e al tempo impiegato al lavoro.

 

“Prendi più tè”.
“Non ne ho ancora preso niente, non posso prenderne di più”.
“Vuoi dire non puoi prenderne di meno. È facile prendere più di niente”.
Difficile non lasciarsi affascinare da questo passaggio di Alice nel paese delle meraviglie, in cui la protagonista si trova alle prese con il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina. Facile aggiungere, addizionare, crescere e muoversi. In una società caotica e volta al continuo miglioramento, in modo talvolta ossessivo, quanto è invece importante e arduo sapersi fermare? Escludere, eliminare, rallentare e tirare il freno a mano sono forse parte dell’indicazione data ad Alice? Assolutamente sì e tutta l’atmosfera Zen di questo incontro lo grida a gran voce. Il pensiero di sottrarre qualcosa al fine di creare valore è ben riposto in questa filosofia e il dialogo con la lepre ne evidenzia l’importanza così come la difficoltà.

 

Ma come si fa a eliminare i pensieri e la conoscenza inutili?

I pensieri sono la materia costituente del nostro essere. Eppure, come ci ricorda il terapeuta Giorgio Nardone, quando ad esempio il dubbio, trampolino di lancio del pensiero creativo, si intensifica oltre misura, diviene molla del pensiero ossessivo. Il rimuginio (un pensiero ricorrente e pervasivo, che se orientato al futuro può portare una persona a ripetersi che le cose andranno male o che qualcosa di brutto potrebbe accadere) è sano quando intensifica il pensiero in modo da affrontare al meglio il futuro. Diventa però insostenibile, se non patologico, quando si pone come pervasivo e incontrollabile. Per contrastare questo suo lato oscuro dovremmo invece focalizzarci sul presente, prendere coscienza che perfezione e infallibilità sono solo chimere e smettere di controllare eccessivamente ogni cosa, pensieri inclusi. Pensiamo ora alla conoscenza e facciamolo con un esperimento. Siete appesi alla torre più alta di Giacarta, a migliaia di metri dal suolo. Così chiamate i tre vostri migliori amici per chiedere aiuto. Loro corrono a salvarvi, ma avendo paura che nel farlo possano cadere anche loro trascinati giù, si tirano indietro. Voi cadete, ma sopravvivete impigliandovi qualche metro più sotto. Siete salvi. Non sarebbe stato però meglio non sapere che i vostri amici non sono poi così amici come credevate? Non sarebbe stato meglio rimanere nell’ignoranza e rimanere amici per sempre? O forse è meglio sapere ed essere tristi per le informazioni ricevute? Questa storia, che chiaramente ha dell’assurdo, solleva il tema chiamato “paradosso dell’ignoranza felice”. Più cerchi di trovare risposte più si formulano ulteriori domande. Grazie a internet puoi sapere tutto, ma ti interessa davvero? E, soprattutto, è conoscere di più che ci renderà davvero felici? Insomma, tante domande a cui rispondere. Quella da cui partire per il nuovo anno, se volete abbracciare il downshifting, non sarà quindi “cosa posso fare di nuovo?”, quanto piuttosto “cosa posso smettere di fare?”.

 

A cura di Viola Compostella
con la collaborazione di Alessandro Fortis
Formatore soft skill e coach
Bergamo