Un libro e una mostra itinerante con le voci di Lella Costa e Claudio Bisio raccontano le storie di malati che hanno superato la malattia con nuovi interessi.
“Quando il medico mi ha comunicato che avevo il Parkinson aveva un’espressione triste. Per prima cosa gli ho chiesto se mia figlia, che aveva 13 anni, corresse il rischio di contrarre in futuro la stessa patologia: mi ha rassicurato perché non è ereditaria. A quel punto mi sono accorto che era più depresso di me e allora gli ho raccontato una barzelletta su un vecchio parkinsoniano che sfrutta i suoi tremori per far colpo sulle donne. Così quando ci siamo salutati io e il dottore sorridevamo entrambi. Una volta tornato a casa però mi è caduto addosso il mondo”. È l’inizio della storia di Alessandro Culotta, diventato dopo la malattia, un volontario della Croce Rossa e Doctor clown per aiutare le persone malate a stare meglio. “Il sorriso è la mia arma migliore, è la più efficace.” La sua storia è una delle 17 pubblicate nel libro “Non chiamatemi morbo! Mr. Parkinson si racconta” scritto dalla giornalista Sabrina Penteriani e da Marco Guido Salvi, vicepresidente nazionale dell’Associazione Italiana Parkinsoniani e presidente della sezione di Bergamo con le immagini e i ritratti del fotografo Giovanni Diffidenti, famoso a livello internazionale per la sua capacità narrativa, anche lui bergamasco come gli autori del volume. Storie toccanti e immagini dei parkinsoniani ripresi durante la loro quotidianità.

«L’obiettivo di questo libro è aiutare il lettore a capire meglio la malattia, a sgomberare il campo da pregiudizi e luoghi comuni» ci dice il dottor Salvi. «Il Parkinson non è un morbo come qualcuno lo definisce ma è una malattia neurodegenerativa, progressiva ed invalidante, che mette ansia e paura solo a pronunciarne il nome. Una malattia però con la quale si può convivere perché il Parkinson non ferma la vita. Anzi è un’inguaribile voglia di vivere». Come testimoniano i racconti degli intervistati che sono riusciti a superare grosse difficoltà fisiche e mentali scoprendo, grazie all’Associazione (AIP) nuovi modi di socialità e di cura come il ballo, il teatro, il modellismo, la poesia o la scrittura. Queste storie, raccontate dalle voci di Lella Costa e Claudio Bisio con le foto di Giovanni Diffidenti, danno vita a una mostra fotografica itinerante organizzata dalla Confederazione Parkinson Italia il cui presidente è un altro bergamasco, Giangi Milesi, con lo stesso titolo del libro “Non chiamatemi Morbo”. L’esordio al Piccolo Teatro di Milano, poi a Genova, all’Accademia Carrara, a Varese, a Trento, a Cusano Magnago, a Busto Arsizio, a Rho, ora a Gallarate e tra breve a Napoli.

Ogni storia comincia con un dialogo, drammaticamente ironico, di Mr. Parkinson con la sua “vittima”, come Alma Piku, di origine albanese, ma da decenni residente a Bergamo. Eccolo: MR Parkinson: “Quando ci siamo incontrati Alma aveva 37 anni. Ho cercato di spezzarla, ma lei se n’è infischiata. L’impresa di pulizie per cui lavorava è fallita. L’ho piegata, fino a toglierle il controllo del suo corpo. L’ho spinta a isolarsi e a vergognarsi di se stessa”. Ma Alma, che è laureata in matematica In Albania, non è d’accordo e risponde così: “Il Parkinson è un ostacolo come tanti, ce ne sono di peggiori. Ho trovato un nuovo posto di lavoro che mi piace di più. Ho pubblicato il mio primo libro di poesie: un’emozione. Ho tanti amici e non mi nascondo perché questa malattia non è un tabù”. O il botta e risposta con Fabiola Lampasona. Mr. Parkinson: “Fabiola ha 46 anni, e quando l’ho incontrata, cinque anni fa, aveva un figlio adolescente, lavorava in una farmacia, le piaceva correre ed era un’atleta agonista. Le ho mandato tutto all’aria, costringendola a reinventarsi. Le ho causato stanchezza, squilibrio e dolore”. Ma Fabiola nonostante i problemi ha imparato a giocare a park-rugby un tipo di rugby adattato alle caratteristiche e alle esigenze dei suoi colleghi malati e controbatte: “Ero ancora giovane, i medici non riuscivano a capire cosa avessi: ci sono voluti due anni per arrivare alla diagnosi corretta. Quando ho scoperto di avere il Parkinson ho accusato un duro colpo. Mi ha aiutato entrare in contatto con altri parkinsoniani e ho iniziato a frequentare le attività dell’AIP”. Come ha fatto l’ex preside del liceo Sarpi, Giovanna Govoni, che ha avuto il sentore di essere ammalata in cucina non riuscendo più a stendere la sfoglia per le tagliatelle, uno dei suoi piatti preferiti, o ad aprire i barattoli. Ha accettato la malattia senza provare rabbia. “È inutile ribellarsi a un verdetto del genere: è una malattia, bisogna farsi coraggio e affrontarla. Certo mi dispiace dover rinunciare a tante cose, faccio fatica anche solo a camminare. Mi piaceva andare a raccogliere funghi e lo faccio ancora, ma devo portare con me il deambulatore. Ho trovato un aiuto prezioso nell’AIP Bergamo”. Fa ginnastica, balla il tango e si esibisce come attrice con la compagnia Teatro&Tremore. “È un’attività che mi appassiona, mi ha fatto incontrare nuovi amici. L’anno scorso il mio ruolo prevedeva che entrassi in scena camminando e accennando un passo di danza e io che normalmente devo usare il deambulatore ci sono riuscita senza aiuti. Una soddisfazione incredibile”. E nel libro e nella mostra itinerante ci sono altre storie toccanti come quella di Andrea Tagliabue che grazie alla meditazione e allo yoga ha trovato la forza di ripartire, quella di Gianmario Vavassori che costruisce vascelli e navi, di Giulio Nava che crea oggetti in legno, di Giuseppe Montagna che ha partecipato anche a una Mille Miglia, di Giovanna Cantù che parla dell’aiuto avuto dal marito e dalla nipotina, di Lorenzo Carrara che disegna faggi, rose e pettirossi, di Paolo Rota ex motociclista che ha scoperto un simulatore video, di Riccardo Merisio che sta scrivendo un libro attorniato dalla famiglia e tanti amici, di Rosalba Latella che ha scoperto la recitazione e il tango, di Stefano Guidotti che combatte il Parkinson con lo sport.

Ma ci sono anche le esperienze dei caregiver, che si prendono cura di un paziente, come il nostro vescovo Francesco Beschi che ha assistito per anni, con i suoi quattro fratelli, la mamma malata di Parkinson e che dice: “La malattia di mia madre è stata una grande scuola, mi ha fatto sentire più vicino alle persone fragili, ho cominciato a comprenderle meglio. Da allora seguo sempre molto da vicino l’Associazione Parkinsioniani. La loro attività contribuisce a formare una coscienza sociale su questa malattia nei confronti della quale esistono ancora oggi molti pregiudizi. A queste persone cerco sempre di trasmettere come posso parole di speranza. Con la loro testimonianza, con il loro coraggio nell’affrontare la malattia possono aiutare tutti noi a capire che cosa è davvero importante”. Senz’altro, come recita il titolo dell’intervista “Una famiglia unita moltiplica le armi contro la malattia”.

L’associazione, oltre la famiglia, è un elemento che aiuta a convivere con il problema. A volte i malati di Parkinson si sentono soli, spesso a disagio nel contatto con le altre persone. «Nel mio percorso ho capito che la malattia non colpisce solo il paziente ma coinvolge l’intera famiglia» dice Salvi. «I rapporti cambiano e in certi momenti molti malati sentono crescere una certa insofferenza nei confronti dei loro cari. Altre volte i familiari sembrano non credere che alcune difficoltà dipendano proprio dalla malattia e non dalla volontà dell’individuo. Ci vuole una grande forza di volontà da parte del paziente per non chiudersi, per non vergognarsi nel mostrare i segni e la difficoltà della malattia. Ma anche coraggio nel raccogliere nuove sfide e opportunità che possono offrirsi. Ho visto recitare persone che non erano mai entrate in teatro. E ho visto amici che non avevano mai ballato muoversi con i ritmi del tango argentino. Nel mio caso, attraverso la malattia, ho scoperto l’impegno per gli altri. I valori dell’associazionismo e i principi del volontariato. Anche se la domanda ricorrente resta sempre “Cosa sarà di me domani? Del futuro mi spaventa la possibilità di perdere completamente l’autonomia, di dover usare una carrozzina e non poter più aiutare gli altri, anzi essere di peso». Ma “L’inguaribile voglia di vivere” e “L’unione fa la forza”, che sono i suoi due motti, fanno progettare al dottor Salvi, ex amministratore delegato di società del gruppo Italcementi, la realizzazione di un altro obiettivo: un Centro Parkinson centralizzato, di alta specializzazione a Bergamo, con strutture e medici esperti nella cura del Parkinson. 

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A cura di Lucio Buonanno
Ph:Giovanni Diffidenti