L’emergenza Coronavirus ha fatto dilagare sui social media valanghe di fake news e bufale, che si sono diffuse in modo incontrollato e spesso pericoloso. Già, perché nonostante si tratti in molti casi di notizie false “prodotte” ad hoc, sono molte le persone che almeno inizialmente cadono nella loro rete, condividendole e amplificandone la portata. Ma perché le fake news sembrano avere su di noi un impatto più forte rispetto ad esempio a informazioni scientificamente provate? Lo abbiamo chiesto a Mauro Savardi, psicologo e psicoterapeuta.
Dottor Savardi, perché le fake news riescono ad avere così presa sulle persone e a diffondersi in modo così “contagioso”?
Spesso le fake news non sono facilmente identificabili come tali. “Oggi il cielo è verde” rappresenta un’informazione facilmente verificabile o falsificabile da chiunque. Basta guardare il cielo fuori dalla finestra. Ma la news secondo la quale “Le zecche possono trasmettere il coronavirus” non è altrettanto facilmente verificabile per vari motivi. Innanzitutto perché insiste sull’emotività latente e palese delle persone in un momento storico vero e ben preciso, caratterizzato da emozioni di timore, terrore, paura, ansia, angoscia. L’informazione emozionale, anche se con un contenuto falso, nel momento in cui attiva la sensibilità emotiva prevalente, agisce d’effetto, spiazzando il lettore, che spesso può incappare nella trappola dell’adesione letterale senza verifica. La mente dell’uomo, infatti, non funziona come un freddo calcolatore, che misura ponderatamente il valore delle singole variabili in gioco, a maggior ragione quando l’emotività è elevata.
Con il termine fake news (notizie false) si indicano articoli con informazioni inventate, ingannevoli, create deliberatamente per disinformare, creare scandalo attraverso i mezzi di informazione, aumentare il livello di audience e like, attorno a uno specifico canale e tema
Faccia qualche esempio...
Se la notizia viene fatta filtrare come un’informazione redatta da esperti o come conseguenza di un dibattito contrastato tra esperti differenti, ciò può generare livelli di credenza letterale come esito dell’affidamento univoco e cieco al parere di chi ne sa di più. In questo modo le persone non si pongono nemmeno il problema di porre in discussione ciò che viene affermato, dando per scontato che i processi di verifica e falsificazione siano già stati operati a monte. Se un’informazione ottiene il consenso delle persone che conosciamo o ammiriamo, questo può ridurre le difese personali e creare un atteggiamento di maggior disposizione alla credenza di ciò che viene affermato. Non è casuale che personaggi pubblici e famosi, vengano procacciati dagli importanti marchi pubblicitari, al fine di sostenere il marketing di prodotti commerciali specifici. Se un’informazione attiva il dibattito, anche solo apparente, innalzando il rumore di fondo attorno ad un tema ben preciso, anche in negativo, ciò genera inevitabilmente un campo percettivo in cui l’attenzione del lettore viene catturata. Il puntino nero sullo sfondo bianco cattura l’attenzione più dello sfondo stesso. Una fake news, a maggior ragione in una situazione di emergenza emotiva e sanitaria collettiva, si comporta in questo modo. Se una notizia, pur essendo falsa, crea in noi “piacere” rispondendo a un bisogno di rassicurazione, perché in linea con le nostre personali opinioni, credenze, stile di vita, età, esperienza, è molto più probabile che venga presa per buona, senza alcun controllo. Se inoltre è contaminata da un’elevata quantità di “like” il lettore può facilmente accettarla come verosimile. Tutte queste variabili non agiscono individualmente, ma come ingredienti di un insieme. La mente umana, ma non solo, tende infatti a fare economia, riducendo il costo dell’elaborazione quando questa è semplificata ed elaborata da altri. È più facile credere a un’informazione, anche se falsa, quando questa è architettata in modo articolato, secondo la linea delle variabili sopra descritte, piuttosto che discuterne e analizzarne ogni singola componente.
Che cosa si può fare allora per non cadere nel tranello?
Potrebbe sembrare scontato a questo punto, ma la prima cosa è diffidare a priori di tutto e tutti come bene esprime il proverbio “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. Ciò ha maggior senso all’interno di una realtà cosiddetta liquida, in cui ogni punto di riferimento è liquefatto, tanto da lasciare spazio a ogni possibilità possibile. Bisogna tuttavia fare attenzione anche alla semplicità di un contenuto; se un contenuto è troppo semplice, ma difficilmente verificabile, molto probabilmente c’è un problema. Costruirsi delle opinioni personali, anche discrepanti dalla moda, basate su delle conoscenze, non vere in senso assoluto - la verità è un lusso di pochi - ma oggettive e oggettivabili, rappresenta un ulteriore punto di partenza sano. Bisogna considerare inoltre che la mente, da un punto di vista evolutivo, è un costrutto relazionale prima ancora che personale, e ciò rappresenta un ulteriore elemento per difendersi dalle fake news: permette di aprirsi verso uno stile di pensiero disposto al confronto e non allo scontro unidiretto. Se guardarsi dentro rende ciechi, infatti, confrontarsi apre la mente.
La comunicazione ai tempi dei social
Lo psicologo e filosofo americano Paul Watzlawick, già negli anni ’60, affermava che “comunque ci si sforzi, non si può non comunicare”. Ciò è ancor più vero oggi. La nostra società è pervasa infatti da ogni tipo di comunicazione o meglio mercificazione dell’informazione, su un livello che trascende le singole individualità. Tutto passa attraverso la comunicazione, non più solo privata, verbale o tramite il passaparola, ma attraverso l’amplificazione dei mass media ovvero social media. Dalla “pornizzazione” ed esibizione delle vite personali sui social network, alla raccolta dei flussi informativi e delle preferenze personali, al fine di creare delle proposte commerciali “personalizzate” su campioni di individui, se non addirittura su individualità singole, dalla creazione ad hoc di canali social con lo scopo specifico di influenzare le opinioni politiche, culturali, sociali, religiose, sessuali, commerciali, delle persone.
Dal fatto alla “bufala”: i diversi gradi di “credibilità”
Fatto: dato di esperienza “incontrovertibile”. Le conseguenze sono ciò che determinano l’innegabilità del fatto.
Conoscenza scientifica: utilizza alcuni fatti e ne tralascia altri, per dimostrare la veridicità o la falsità di ipotesi con lo scopo, generalmente, di creare altri fatti utilizzabili come bene comune, quanto meno da un punto di vista teorico. La conoscenza scientifica analizza il flusso dell’esperienza osservandone le variabili che la costituiscono. Il bugiardino di qualunque farmaco è una dimostrazione di conoscenza scientifica. Effetti medicali ed effetti collaterali di un farmaco vengono riportati come esito di un’osservazione e sperimentazione clinica.
Conoscenza basata sull’esperienza: rappresenta l’insieme del bagaglio di conoscenze che una persona e una cultura, per prove ed errori, si costruiscono attraverso la partecipazione alla vita e l’osservazione dei fatti che si ripetono in modo costante nel corso del tempo. Il patrimonio di proverbi contadini, riferibili al tempo e alla terra ne sono una testimonianza.
Credenza: conoscenza implicita dove il livello di soggettività personale aumenta, in quanto si proietta già oltre il valore del singolo fatto, partendo comunque da singoli fatti. Le credenze che una persona ha su di sé e sugli altri, ad esempio, indicano le sue aspettative e idee sul proprio modo di essere e sul modo di essere degli altri. Ciò permette di costruirsi delle previsioni e delle aspettative sul mondo.
Fake news: notizie redatte con informazioni, relative a fatti inventati, ingannevoli o distorti, rese pubbliche con il deliberato scopo di disinformare, creare scandalo attraverso i mezzi di informazione, aumentare il livello di audience e like, attorno a uno specifico canale e tema.
A cura di Giulia Sammarco
con la collaborazione del dott. Mauro Savardi
Psicologo e Psicoterapeuta