Il vittimismo patologico. Quando nella vita capita di subire delle circostanze negative, spesso, ci si sente come Calimero, il pulcino “piccolo e nero”, protagonista di un cartone animato degli anni '70, che, spesso, si trovava solo e abbandonato a subire delle situazioni difficili, ritenute, per lui, delle ingiustizie. «Ci sono persone che, spesso, si lamentano e ripetono frasi del tipo “capitano tutte a me” - “pago sempre io per gli altri” - “sono sempre sfortunato” e vengono ritenute vittime. È necessario, prima di addentrarsi in questo argomento, fare una distinzione tra vittima e vittimista» osserva la dottoressa Emanuela Zini, psicologa.

Dottoressa Zini, quali sono le caratteristiche e gli atteggiamenti che permettono di riconoscere un vittimista rispetto a “semplice” vittima?
La vittima non usa ciò che gli succede per manipolare gli altri, a differenza del vittimista, che vive la realtà e ciò che gli succede in maniera distorta. Chi soffre di vittimismo patologico ha difficoltà ad esprimere le ansie, i dolori e le preoccupazioni senza dover sempre affliggere gli altri e se stesso. In particolare, le caratteristiche del vittimista patologico sono:
1. persistente e involontaria sfiducia verso le possibilità positive della vita (pessimismo);
2. meccanismi di difesa disfunzionali (negazione, proiezione);
3. bassa autostima;
4. mancanza di senso autocritico;
5. incapacità di assumersi responsabilità;
Inoltre, il vittimista patologico esprime il malessere in modo frustrante e anche con modalità aggressive verso chi cerca di essere di aiuto. L'altro, nel suo immaginario, infatti dovrebbe essere capace di risolvere i suoi problemi ed essere costantemente presente. In realtà il vittimista patologico non riesce a costruire delle relazioni di fiducia e teme che l'altro non lo voglia aiutare veramente. Questo potrebbe dipendere da un'infanzia caratterizzata da relazioni di attaccamento ambivalenti e di sfiducia, che hanno portato la persona a sviluppare un'idea di non valore o di non meritare, per esempio, l’affetto. è come se alla persona adulta vittimista fosse mancato, durante l’infanzia, affetto, riconoscimento o considerazione adeguate. Tutto ciò ha portato ad un complicato sviluppo della propria identità, minando anche delle caratteristiche quali l’autostima.

Il vittimismo patologico può essere considerato un vero e proprio disturbo psicologico e come tale richiedere una terapia?
In realtà non esiste una classificazione diagnostica per il vittimista patologico, ma si potrebbe avvicinare alla Sindrome di Munchausen: una malattia mentale e del comportamento rara, che porta la persona a dolersi per disturbi e sintomi inventati con l'intento di mettersi al centro dell'attenzione. Le modalità del vittimista patologico rendono lo stesso un tiranno relazionale: tiene in pugno le persone che lo assecondano, per senso di colpa o compatimento. Ciò che vuole ricevere sono ascolto, protezione e indulgenza, se non riesce a ottenere ciò diventa aggressivo, colpevolizzando gli altri e aumentando la percezione di tradimento.

Per queste ragioni il vittimista patologico può avere delle caratteristiche similari al narcisismo patologico: viene esaltato il proprio Io, in questo caso, attraverso la sofferenza che viene spesso ingigantita, iper-esibita, a volte simulata.

In che modo se ne può uscire? 
Per aiutare un vittimista patologico è necessario lavorare su diversi fronti, alcuni di questi sono:
1. ridimensionare i pensieri negativi e legati al passato, basandosi su una prospettiva positiva ottimistica, reale;
2. lavorare sul senso di autoefficacia e sulle proprie capacità interne;
3. potenziare l’autostima;
4. aiutare la persona a costruire rapporti di fiducia con gli altri.
Quello che il vittimista patologico dovrebbe riuscire ad acquisire con il tempo è che nella vita ci saranno sempre delle situazioni difficili da affrontare, ma la chiave giusta sta nel sapere che ognuno di noi ha un libero arbitrio che consiste nel giusto atteggiamento da assumere di fronte alle problematiche della vita. Le persone vicine al vittimista patologico possono continuare a offrire il loro aiuto per la risoluzione delle preoccupazioni, ma è necessario che non diano troppo peso alle lamentele e che non si facciano investire dai sensi di colpa e dalle manipolazioni affettive del vittimista, questo per spezzare il circolo vizioso tra i ruoli di Persecutore/Salvatore. È utile aiutare il vittimista patologico a comprendere le sue difficoltà e a farsi supportare da uno specialista. Non dimentichiamo che il vittimista patologico è una persona che può aver avuto in passato storie dolorose, che necessita di affetto e comprensione e che non ha delle capacità di resilienza. (In ambito psicologico per resilienza si intende la capacità di far fronte in modo positivo a eventi traumatici e riorganizzare la propria vita davanti alle difficoltà)

CALIMERO
È un personaggio dell'animazione pubblicitaria italiana, un pulcino piccolo e nero, apparso per la prima volta in “Carosello” nel 1963. Essendo caduto nella fuliggine diventa nero e non viene più riconosciuto dalla madre, vive qualche piccola disavventura ma, grazie al detersivo pubblicizzato, torna a essere bianco e contento. Calimero fu popolare per tutti gli anni sessanta-settanta, tanto da far entrare nel lessico collettivo sia il nome del personaggio, sia alcune sue frasi come "Eh, che maniere! Qui tutti ce l'hanno con me perché io sono piccolo e nero... è un'ingiustizia però".

a cura di MARIA CASTELLANO
con la collaborazione della DOTT. SSA EMANUELA ZINI 
Psicologo e Psicoterapeuta
- STUDIO MAIEUTIKE' DI BREMBATE SOPRA E STUDIO MAZZINI DI BERGAMO -