La recente scomparsa dell’attrice Anna Marchesini ha riacceso i riflettori sull'artrite reumatoide, malattia infiammatoria cronica per la quale la diagnosi precoce rappresenta la prima “terapia”. Riguarda circa 300mila italiani, con una maggiore frequenza nelle donne (con un rapporto maschi/femmine di 1 a 4) e un picco di incidenza tra i 35 e i 50 anni. Pur non essendo una patologia con ereditarietà diretta, è più diffusa tra i parenti di primo grado di persone malate.
È l’artrite reumatoide, malattia infiammatoria cronica sistemica, ad andamento progressivo, con carattere erosivo, deformante e talora anchilosante, che colpisce in prima battuta le articolazioni ma, se non adeguatamente trattata, ha ripercussioni su tutto l’organismo.
Dolore e rigidità articolazioni, primi sintomi
L’esordio più comune dell’artrite reumatoide è rappresentato da una sintomatologia dolorosa poliarticolare associata a rigidità generalizzata; il dolore e la rigidità articolare sono presenti soprattutto al risveglio e possono perdurare per molte ore della mattinata. All’inizio della malattia, le articolazioni più frequentemente colpite, tipicamente in modo simmetrico (stesse localizzazioni a entrambi i lati del corpo), sono le piccole articolazioni delle mani, in particolare le articolazioni metacarpofalangee (localizzate tra dorso della mano e base delle dita) e le articolazioni tra la prima e la seconda falange denominate interfalangee prossimali. Anche i piedi sono colpiti all’esordio di malattia con localizzazione del dolore tra dorso del piede e dita e tra le falangi. Se non trattata adeguatamente, però, l’artrite reumatoide tende a peggiorare, colpendo nuove articolazioni, dalle estremità verso la radice degli arti, come i polsi, le ginocchia, i gomiti, le caviglie, le spalle e le anche. La progressione di malattia comporta la possibile insorgenza di disabilità permanente.
Un’origine multifattoriale ma ancora sconosciuta
Le numerose ricerche finalizzate a individuare un unico agente causale della malattia hanno dato esito negativo. L’artrite reumatoide è attualmente considerata una malattia che dipende da molti fattori. Si manifesta in individui geneticamente predisposti nei quali l’esposizione a un agente scatenante (virus o batteri) determina la comparsa di un processo infiammatorio cronico.
Farmaci antiinfiammatori per il dolore e farmaci cosiddetti di fondo (tradizionali o biologici) per arrestarne l’evoluzione
L’artrite reumatoide è una malattia curabile. La diagnosi precoce è estremamente importante per consentire un completo recupero funzionale del paziente. Gli obbiettivi del trattamento sono rappresentati dal controllo della sintomatologia dolorosa articolare e dall’arresto o rallentamento dell’evoluzione dell’artrite. I farmaci utilizzati nella terapia dell’artrite reumatoide possono essere suddivisi in 2 grandi gruppi: il primo comprende i farmaci “sintomatici”, il secondo comprende i cosiddetti “farmaci di fondo” denominati anche DMARDs (Disease Modifying Anti-Rheumatic Drugs). I farmaci sintomatici sono rappresentati dai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), dai cortisonici e dagli analgesici (farmaci contro il dolore). I sintomatici, pur essendo utili per controllare il dolore e la rigidità articolare, non sono in grado di modificare l’andamento della malattia. I farmaci di fondo sono invece in grado di controllare i meccanismi patogenetici dell’artrite reumatoide, consentendo di rallentare o arrestare la progressione di malattia. Vengono così denominati, perché, a differenza dei farmaci sintomatici, non hanno un effetto immediato ma impiegano del tempo per consentire di controllare la malattia. I principali farmaci di fondo sono il methotrexate, la leflunomide, la ciclosporina, la sulfasalazina e gli antimalarici di sintesi. Si sono aggiunti in questi anni anche i cosiddetti farmaci “biologici”; con questo termine non ci riferiamo a sostanze naturali bensì a un gruppo di farmaci, sintetizzati grazie ai progressi fatti nel campo delle biotecnologie. Rispetto ai farmaci di fondo tradizionali, che peraltro sono utilizzati tuttora con successo in numerosi pazienti affetti da artrite reumatoide, i “biologici” sono estremamente selettivi in quanto riescono a colpire un singolo bersaglio (recettore o proteina citochinica) responsabile dello scatenamento e del mantenimento del processo infiammatorio articolare. Vengono utilizzati nei pazienti scarsamente responsivi ai farmaci di fondo tradizionali, ai quali peraltro sono spesso associati per ottimizzarne il risultato.
Un fattore di rischio per infarto e malattie cardiovascolari
I pazienti affetti da questa malattia hanno una tendenza a sviluppare un’aterosclerosi (malattia delle arterie caratterizzata dalla formazione di placche sulla superficie interna della parete arteriosa) precoce, conseguenza del processo infiammatorio cronico. Questo determina, soprattutto nelle forme aggressive di malattia, una diminuzione della spettanza di vita di 5-10 anni rispetto alla popolazione generale. La principale causa di morte non è però rappresentata direttamente dalla malattia reumatica bensì dall’incrementato rischio cardiovascolare (infarto miocardico, aterosclerosi periferica/carotidea). Il trattamento precoce dell’artrite reumatoide mirato alla remissione di malattia, unitamente al controllo dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolare, è comunque in grado di ridurre significativamente il rischio cardiovascolare in questi pazienti.
Quanto conta lo stile di vita?
Il fumo è l'unico fattore di rischio ad oggi riconosciuto come concausa della malattia. Per il momento non ci sono studi affidabili sull'impatto dell'alimentazione.
a cura del dott. MASSIMILIANO LIMONTA
Specialista in Reumatologia
- RESPONSABILE UNITA' DI REUMATOLOGIA ASST PAPA GIOVANNI XXIII BERGAMO -