Sintomo di vivacità intellettuale e desiderio di conoscere oppure invadenza? Quando si tratta di curiosità a volte il confine può essere sottile. Quello che alcuni percepiscono come interessamento, da altri ad esempio può essere visto come una violazione della privacy. Altre volte la sete di informazioni può sconfinare nella morbosità (ad esempio quando si tratta di gossip su persone famose o no). C’è poi chi la considera un pregio, chi invece un difetto. In realtà la curiosità è molto più di tutto questo: è un sentimento naturale, un motore indispensabile che ci spinge a esplorare e conoscere il mondo intorno a noi, fatto non solo di persone ma anche di cose ed esperienze. L’importante, in ogni caso, è saperla dosare bene. Come ci spiega la dottoressa Laura Grigis, psicologa.

Dottoressa Grigis, da un punto di vista psicologico ed evolutivo cos'è e che ruolo ha la curiosità?
Possiamo definire la curiosità come il desiderio di conoscere, colmare un vuoto, avere informazioni e stimoli mentali nuovi, mossi da motivazioni intrinseche (interne). Secondo la mitologia greca, Zeus regalò a Pandora un vaso, raccomandandole di non aprirlo; la giovane però, che aveva ricevuto dal dio Ermes il dono della curiosità, tolse il coperchio al vaso, liberando così tutti i mali del mondo. Da questo mito deriva il famoso detto “la curiosità è femmina”. Nonostante la mitologia greca rimandi a un'accezione negativa, la curiosità ha un ruolo importantissimo per il genere umano: basti pensare a tutte le scoperte che hanno portato il mondo a essere quello che noi vediamo oggi. Da un punto di vista psicologico ed evolutivo, è l'esigenza di mantenere in equilibrio il livello ottimale di stimolazione, al di sopra e al di sotto del quale reagiamo con comportamenti di stress o noia: la chiave per comprendere la naturale tensione umana verso la curiosità sta nel riconoscere che il processo di soddisfazione della curiosità è di per sé piacevole (Loewenstein G., “The psychology of curiosity: a review and reinterpretation”, 1994). La psicologia dello sviluppo, in particolare, ha da sempre studiato i cosiddetti comportamenti esplorativi, cioè quei comportamenti che possiamo vedere negli animali e negli uomini (soprattutto nei bambini piccoli) e che sono espressione di curiosità, finalizzati all'esplorazione dell'ambiente, oggetti e persone che li circondano. Studiando il comportamento di un bambino di pochi mesi (attraverso il protocollo della Infant Strange Situation ideato nel 1978 da Mary Ainsworth) si evidenzia che l'attivazione di comportamenti di curiosità ed esplorazione, è resa possibile solo a condizione che siano stati soddisfatti i bisogni primari (nutrizione, attaccamento, sicurezza etc.). Questo è quello che succede anche negli adulti e nella società in generale, dove la curiosità e le scoperte (scientifiche o di altro genere) che migliorano la vita dell'uomo trovano terreno fertile quando sono garantite condizioni di sicurezza e di benessere al singolo e alla collettività.

Si può dire allora che sia sinonimo di intelligenza?
Tutti i grandi scrittori, filosofi, commediografi, pittori, scultori, scienziati, matematici sono stati dei gran curiosi. Curiosità e intelligenza però non sono sinonimi, bensì variabili che s'influenzano a vicenda in diversi modi: grazie alla spinta della curiosità si cercano risposte a quesiti nuovi o vecchi, aumentando così le nostre conoscenze e diventando “più intelligenti”; grazie all'intelligenza invece si formulano nuovi quesiti e si esplorano alternative alla classica visione delle cose. La curiosità, come abbiamo detto finora, è motore di conoscenze, di scoperte e in generale di crescita ed evoluzione: per questo motivo viene considerata un fenomeno positivo. Sia che si tratti di curiosità verso le persone (per conoscerle meglio, per farci un giudizio su di loro, per mostrare interesse etc.), sia che il nostro interesse si rivolga ad oggetti, materiali ed elementi vari. È la curiosità che ci spinge a viaggiare, leggere, assaggiare nuovi cibi e fare amicizia.

Quando da dote positiva può trasformarsi in negativa, come morbosità o invadenza?
Quando l'esplorazione non ha un obbiettivo chiaro e condiviso: le numerose domande personali che ci pone il nostro medico durante una visita sono un esempio di curiosità sana, volta all'obiettivo di una corretta diagnosi; se le stesse domande ce le ponesse uno sconosciuto, seduto accanto a noi sull'autobus, la sua invadenza ci infastidirebbe molto. Quando lo scopo finale non è la semplice conoscenza: se, dopo aver “curiosato”, sentiamo di aver ottenuto delle informazioni e delle conoscenze che migliorano la nostra vita, anche per piccole cose, allora si tratta di curiosità “intelligente"; diversamente, siamo caduti nel pettegolezzo e nell'invadenza. In questo secondo caso, probabilmente, siamo stati mossi non dalla sete di conoscenza, ma dalla volontà di cogliere l'altro in errore, giudicarlo negativamente, mantenere o imporre la nostra posizione di superiorità su di lui all'interno della relazione. In altre parole, la curiosità “negativa” è quella che ci spinge a ottenere informazioni per poi utilizzarle per secondi fini e non per la semplice voglia di conoscere. Questa accezione negativa della curiosità è sempre più stimolata ai giorni nostri, soprattutto per la facilità e la velocità con cui si trovano informazioni su cose e persone; informazioni che però il più delle volte non servono davvero per formarci un'opinione e sicuramente funzionano meno di un “Buongiorno, come sta?” detto al nostro vicino di casa di cui però già conosciamo luoghi di vacanza, opinioni politiche e passioni musicali attraverso i social!

Ma allora come si fa a essere curiosi in modo “sano”?
Innanzitutto facendo anche molte domande, ma solamente per ottenere informazioni che ci interessano veramente e mostrando empatia quando ci rivolgiamo alle persone. Importante è poi avere sempre presente che l'obbiettivo è ottenere nuove conoscenze, imparare cose nuove, ma senza ambire alla perfezione o alla “conoscenza assoluta” e non accontentarsi di informazioni “per sentito dire” ma cercare sempre di approfondire e crearsi una propria opinione. Non dimentichiamo poi che essere curiosi aumenta il nostro livello di autostima: le persone curiose infatti sono maggiormente portate alla relazione e allo scambio con ciò che li circonda, esponendosi a sfide che solitamente superano e grazie a questo processo acquisiscono e migliorano le proprie capacità per il raggiungimento di livelli sempre superiori.

Un aiuto per la memoria e l’apprendimento
Neuroscienziati e psicologi dell'Università della California hanno dimostrato che quando qualcosa stimola la nostra curiosità, nel cervello si attivano i collegamenti fra i centri della ricompensa e l'ippocampo, una regione cruciale per il consolidamento della memoria. Questa condizione si mantiene per un certo periodo di tempo e rende più facile il ricordo e l'apprendimento non solo di quanto ci aveva interessato, ma anche di altre informazioni ricevute nello stesso momento.

a cura di MARIA CASTELLANO
ha collaborato con la DOTT. SSA LAURA GRIGIS
Psicologa
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