«Sono una delle dieci italiane, l'unica bergamasca, operate per un tumore al seno, che è andata alla Maratona di New York portandola a termine. Era il mio sogno. A farmi forza, chilometro dopo chilometro, c'era il ricordo di mia sorella Barbara, scomparsa nel 2008 per il mio stesso male, e tutte le donne che stanno combattendo questo mostro. Siamo dieci donne con storie diverse ma accomunate dal cancro al seno. Nessuna di noi può dire di aver sconfitto la malattia, ma sicuramente con questa prova massacrante abbiamo almeno provato a vincere la paura e a dare a chi soffre il messaggio che lo sport, soprattutto la corsa, aiuta a sentirsi vive e a stare meglio con se stesse».

Chi parla è Gabriella Doneda, 39 anni di Brembate, bibliotecaria a Busnago dopo la laurea in lettere moderne all'Università statale di Milano. Occhi verdi, parlantina sciolta e un gran sorriso, va sempre di corsa. E correndo correndo ha perso i 14 chili che aveva messo su dopo l'operazione e durante le cure con sei cicli di chemio, venti sedute di radioterapia, e tanto cortisone. E ha ritrovato anche il buon umore.
«Il cancro comunque ti resta addosso» ammette «e nulla sarà più come prima: lo avverti da piccoli segnali, le ossa che scricchiolano, le vampate, la fatica, la paura di morire. Ma bisogna reagire. Io ho ripreso a fare sport, nuoto e corsa. Quando macino i chilometri non mi sento più malata ma una donna come le altre. Mi sento viva anche se la fatica è tanta. E' una sensazione bellissima. Mi piace perché riesco a dimenticare i problemi, la malattia che mi porto dietro. Ecco perché io e le altre abbiamo aderito con entusiasmo al progetto #Nothingstopspink della Fondazione Umberto Veronesi. Abbiamo risposto in duecento operate di cancro al seno, ma siamo state selezionate solo dieci per partecipare alla maratona di New York. Un'emozione indescrivibile. Per noi non contava il risultato, ma essere presenti, lanciare il nostro messaggio, seguendo quanto afferma il prof. Paolo Veronesi, presidente della Fondazione: "L'attività fisica è una potente alleata della salute, perché contribuisce a prevenire e curare molte altre patologie e riduce il rischio di recidiva tumorale. Correre significa dimostrare a se stesse che la malattia è un episodio passato e che, per stare bene, bisogna continuare a prendersi cura del proprio corpo".» Anche se lo sforzo e la fatica sono notevoli. «Faccio due allenamenti alla settimana a Milano e una marcia non competitiva al sabato o alla domenica» racconta. «A seguirci è lo staff di Gabriele Rosa, fondatore del Centro Marathon di Brescia, medico specializzato in cardiologia e in medicina dello sport, che con i suoi atleti ha conquistato titoli mondiali, medaglie olimpiche e tantissime gare internazionali, ed è stato proprio lui a ideare #Nothingstopspink in collaborazione con la Fondazione. E così abbiamo avuto la fortuna di correre in mezzo a migliaia di persone. Era il mio, anzi il nostro sogno, mio e di mia sorella Barbara. Io correvo già e dicevo sempre a mia sorella che mi seguiva: "Dobbiamo andare insieme alla Maratona di New York". Barbara purtroppo si è ammalata nel 2007 ed è morta un anno dopo per un tumore triplonegativo, una forma molto aggressiva che colpisce le donne giovani e che ha scarse prospettive di cure».
«Lo stesso male che mi hanno diagnosticato nel 2012. Quando me l'hanno rivelato sono rimasta interdetta, travolta da un vortice di sensazioni, sospesa. Non volevo crederci. Mi sembrava di galleggiare in un'altra dimensione. E poi avevo paura di dirlo ai miei genitori già così provati dalla scomparsa di Barbara. Mi ha aiutato il mio compagno. Sono andata all'Istituto Europeo di Oncologia diretto dal prof. Umberto Veronesi. Mi hanno operato con la tecnica della quadrantectomia, importata dagli Stati Uniti, che mi ha salvato il seno, senza rovinarlo, senza amputazioni. Poi il calvario: ho dovuto sottopormi a lunghi cicli di chemio, e di radioterapia, assumere tante medicine e cortisone. Le terapie mi facevano star male, e anche se mi provocavano la nausea, cercavo un rimedio nel cibo: mangiavo davvero tanto e ingrassavo.»
Era ingrassata di quattordici chili. Poi ha scoperto la dieta di Cascina Rosa, dell'Istituto Nazionale dei Tumori, una scuola di cucina e un centro per imparare a prevenire i tumori o a combatterli con ricette studiate apposta. «Lì mi hanno ridotto le proteine animali, gli zuccheri. E da allora mangio legumi, frutta, verdure, pasta integrale e sono riuscita a rientrare nei miei pantaloni di prima. E ho ricominciato anche a correre, qualche chilometro alla volta. Il primo giorno è stato drammatico. Dopo dieci minuti ero stravolta. Era il primo gennaio dell'anno scorso, ma non mi sono fermata. Il giorno dopo ho insistito: due, tre, dieci chilometri, e ora le marce non competitive e il 2 novembre la più importante maratona del mondo». «Non bisogna mollare ma neppure credere di essere un campione: bisogna fare un passo alla volta con moderazione ma con tanto spirito di volontà. E vi posso garantire che correre mi fa sentire viva e felice e si riesce a fare anche un vita più sana godendosi le piccole cose, che troppo spesso, quando si sta bene, vengono sottovalutate, e a ritrovare l'entusiasmo. Io lavoro a maglia, faccio parte de "In Cerchio", un gruppo di auto mutuo aiuto per malati di tumore all'Ospedale di Bergamo voluto dall'Associazione Oncologica Bergamasca, e con queste persone lottiamo e ritroviamo il coraggio per affrontare la vita con più forza.» Intanto ogni sei mesi Gabriella deve sottoporsi ai controlli e a chi le chiede come sta risponde: "Bene, fino al prossimo controllo".

a cura di LUCIO BUONANNO