"Scambio enciclopedia per ragazzi con un fornetto elettrico o microonde". "Offro un televisore a colori in cambio di un lettino per bambini". "Vorrei avere una macchina per cucire. Posso offrire abiti firmati indossati pochissime volte". "Cerco bici da corsa da barattare con scaffali per libreria". Gli annunci di scambi si sprecano sui siti internet. Tanti ormai si affidano al baratto. Per qualsiasi tipo di oggetto o prodotto. Una moda che ha il sapore del ritorno al passato. Sarà colpa della crisi o è un nuovo stile di vita? A Bergamo, ci sono centinaia di persone che non usano più l'euro per le proprie spese e negozi che permettono lo swapping (il baratto).

Tu porti un indumento, un oggetto, un giocattolo, un vestito che non usi più a cui viene dato un valore e puoi ritirare un altro oggetto dello stesso valore. Ce ne sono per mamme in attesa, per bambini, per adulti. E c'è anche chi organizza vere e proprie feste a "tema". Si chiamano swap party: ci si incontra in case private per scambiarsi abiti o altri oggetti. Le invitate vengono accolte con un aperitivo. Poi, dopo un po' di chiacchiere, ecco il rito dello swap. Tutte le partecipanti alla serata, a turno, mostrano i loro vestiti e altri accessori e cominciano gli scambi. Un'abitudine che, secondo una ricerca fatta da alcuni studenti del corso di Sociologia dei consumi dell'Università di Bergamo, da un paio d'anni è diventato un appuntamento fisso per una decina di signore bergamasche. I vantaggi? Ci si può rifare il guardaroba, praticamente a costo zero, liberandosi di abiti che non si mettono più, ma anche avere una "scusa" per passare un po' di tempo con le amiche o conoscerne di nuove.

La crisi? C'entra ma non è l'unica causa
A novembre si è tenuta in tutta Italia anche una settimana dedicata al baratto. L'associazione Edoné di Redona ha partecipato con una giornata dedicata a "Ridiamo utilità alle cose": sono stati scambiati capi di abbigliamento vintage, gioielli, walkman, dischi in vinile, videocassette, maglioni, scarpe, lampade e orologi, vecchi cellulari e tanti altri oggetti. E per l'occasione è stata inventata una nuova moneta l'Edo. I prezzi venivano decisi a seconda della qualità degli oggetti e con i "soldi" accumulati si potevano acquistare altri beni messi in vendita. Insomma si tratta di un fenomeno che sta prendendo sempre più piede e sta creando un nuovo tipo di economia. Ne parliamo con la professoressa Francesca Forno, docente di Sociologia e Sociologia dei consumi all'Università di Bergamo. «Le cause sono diverse» dice la professoressa che ha appena concluso una ricerca internazionale sul fenomeno dello scambio di case per ragioni turistiche, altro interessante aspetto del baratto. «La prima è una maggiore attenzione ambientale che è cresciuta negli anni tra i cittadini e che ora incontra l'interesse, soprattutto da parte delle generazioni più giovani, verso pratiche di sostenibilità come il riciclo, il riutilizzo, il recupero, la riduzione dei consumi e dei rifiuti. Alcuni studi sottolineano come questa attenzione dei giovani verso forme di consumo collaborativo sia dovuta alla rete, a Internet, che sta modificando la cultura soprattutto all'interno della cosiddetta Millennium Generation, ovvero tra i "nativi digitali". Fino a qualche anno fa era una cultura che si basava sul possesso e sull'usa e getta, oggi invece si è trasformata in condivisione. Altra causa è senz'altro la crisi, non solo economica, ma anche ambientale che attraversa il Paese e ci spinge tutti a ragionare sul senso delle nostre azioni di consumo. In realtà, però, le forme di condivisione e coproduzione sono nate nel nostro e in altri Paesi prima della crisi. Basta pensare alla diffusione dei Gruppi di Acquisto Solidale, delle Banche del Tempo (in cui ogni socio mette a disposizione la sua esperienza lavorativa scambiando servizi usando la misura del "tempo" e non il denaro), e altre forme di aggregazione, di solidarietà e di condivisione: sono di molto antecedenti alla crisi e proprio per questo si può dire che abbiano contribuito enormemente a diffondere una nuova cultura. Dopo gli anni '80 e '90 in cui si è mercificato tutto, oggi si pensa a un'economia creativa, condivisa, che fa bene non solo al portafoglio, ma anche all'ambiente».

Verso un consumo più "critico"
Il ritorno a questa forma di scambio primordiale aiuta anche a capire il valore dei beni che possediamo e ad avvicinarci a uno stile di vita più responsabile. Si allunga la vita dei beni, si diminuisce la quantità di rifiuti e si riduce il consumo di materie prime per la produzione. È quello che viene definito il consumo riflessivo o consumo critico. «Dalle ricerche che abbiamo condotto emerge come sia il consumo critico sia il baratto siano fenomeni che riguardano in particolare i ceti medi e quei settori della popolazione che hanno sviluppato nel tempo una cultura di impegno responsabile ed etico» aggiunge la professoressa Forno. «La sfida per il futuro è che possano estendersi anche in altri strati della popolazione. Le forme di economia della condivisione non solo rappresentano un modo intelligente per sopravvivere alla crisi, ma creano relazioni che permettono di ricostruire un tessuto sociale oggi lacerato dalla cultura dell'individualismo e del consumismo. Potenzialmente rappresentano importanti strumenti di coesione sociale. Certo, però, un ruolo centrale lo devono svolgere le istituzioni, che dovrebbero aiutare queste "buone pratiche" a diventare anche più "giuste" e soprattutto alla portata di tutti» conclude la professoressa.

STILI DI VITA INTERNET A PORTATA DI SCAMBI
Oltre agli swap party in Bergamasca ci sono diverse iniziative. Realizzato dal Gas di Dalmine per il progetto "Diamoci una mano", c'è il sito "Regalo, Presto, Scambio" una bacheca gratuita su internet che serve per darsi davvero una mano, facilitare le relazioni e i contatti tra persone e associazioni e accrescere la cultura del riuso. Anche a Paladina c'è "Regalo e Presto" che permette a chi aderisce, sempre gratuitamente, di offrire o chiedere in regalo o in prestito oggetti, piccoli servizi di volontari o ottenere consigli e suggerimenti. Ci sono poi altri punti per il riciclo dell'usato, ma bisogna pagare una tessera o lasciare una percentuale sull'eventuale vendita.

a cura di LUCIO BUONANNO
con la collaborazione della PROF.SSA FRANCESCA FORNO
Docente di sociologia e sociologia dei consumi
- PRESSO L'UNIVERSITA' DI BERGAMO -