A tu per tu con Damiana Natali, novarese di nascita ma bergamasca d’adozione. Per tenersi in forma fa tanta attività fisica e stretching, «anche tra una partitura e l’altra. E mi nutro con cose semplici e poco elaborate».

Perché il suo sogno diventasse realtà ha dovuto faticare il doppio, se non di più. «Quando si sente dire da una bambina di un piccolo paese di provincia – sono di Cureggio, Novara – che vuole diventare direttore d’orchestra, immediatamente si pensa che avrà le stesse possibilità, o forse meno, che se decidesse di fare l’astronauta». Damiana Natali, che vive a Bergamo da vent’anni, è infatti una delle poche donne in Italia alla guida di un’orchestra: «Saremo non più di una decina in tutto», dice.

Ha iniziato a suonare il piano a 5 anni, ma già a 15 ha fatto il suo debutto sul podio. Si è laureata in Pianoforte Principale e in Composizione nei due principali conservatori “Verdi” di Torino e Milano. Ha studiato Direzione d’Orchestra in istituti di eccellenza, tra cui la Scuola di Fiesole, la Chigiana di Siena e l’Accademia di Pescara. Si è formata nei principali teatri con i migliori maestri, come Wolfgang Sawallisch, Georges Prêtre, Rafael Frühbeck de Burgos, Riccardo Muti, Donato Renzetti e Antonio Pappano. Nel 2008 ha fondato l’Orchestra Ars Armonica Aps, prima donna italiana ad aver istituito una compagine di professori provenienti da realtà internazionali.

Quando ha scelto di intraprendere questo percorso, splendido ma decisamente impegnativo?

«Era il mio sogno fin da quando ero bambina, vidi e ascoltai un concerto sinfonico dell’Orchestra Rai in tv e sentii dentro che era quello che volevo fare: creare musica, magia di suoni ed emozioni che attraversano il cuore arrivando fino al cielo. Da allora il sogno non mi ha mai abbandonata».

Viene da una famiglia di musicisti?

«No, papà lavorava in banca, mamma era un’impiegata amministrativa: era molto difficile per loro immaginare per la loro figlia un futuro musicale». 

Una ragazza che studia musica classica è diversa dalle altre?

«Si. Non ha molto tempo perché deve suonare tanto, almeno se la sceglie come professione. Poi la “classica” non è capita dai coetanei. Io non sopportavo il casino dei pub, impazzivo: così, o rifiutavo di uscire con i miei compagni di liceo o se ci andavo mettevo le cuffiette e ascoltavo Mozart, Chopin o quello che mi faceva stare bene. Solo cosi potevo essere me stessa. Una soddisfazione? Vedere i miei compagni di classe in prima fila vestiti con giacca e cravatta a un mio concerto pianistico per un noto festival, quando non ero ancora maggiorenne».

Pensa che il fatto di essere donna le abbia precluso alcune opportunità?

«Sì, tantissime. E ancora è cosi. La parità nell’arte del comporre e dirigere l’orchestra non esiste. Non mi dilungo a contemplare logiche e sistemi che oltre la disparità includono politiche, prassi, raccomandazioni, appoggi finanziari, etc. Per combattere i pregiudizi, però, ciò che conta è fare bene il proprio mestiere. Se hai stoffa, la musica nel dna, la passione sfrenata per i suoni e l’umiltà di chi dona al pubblico ciò che riesce a trarre dalle note, dagli applausi si sente».

Cosa prova quando dirige?

«Energia che si espande e che tocco con mano. Mi sento al mio posto. È come suonare un grande strumento collettivo. Quando
suoni il pianoforte sei abituato a vedere solo metà della Luna; quando sotto la tua bacchetta suona l’orchestra, inizi a vedere l’altra metà: è come se il mondo si girasse e ti accorgessi che per anni hai percepito solo una parte dello spazio sonoro».

C’è un concerto che ricorda con particolare affetto?

«Per restare ai tempi recenti, quello di quest’estate con i giovani talenti “Musici Italiani” in Umbria. Mi hanno trasmesso umanità, tenerezza e... speranza nel futuro».

Lei è anche compositrice. Quali sono i suoi riferimenti culturali, quali le fonti d’ispirazione?

«Tutte, anche i rumori. Quelli della natura, i suoni che si sentono in continuazione nella vita di tutti i giorni, che percepisco e si trasformano nella testa in temi, note ed armonie».

A quali progetti sta lavorando, attualmente?

«Ad alcune composizioni tra cui un’opera lirica. Vorrei realizzarla in primis a Bergamo. Vedremo».

Quale il sogno che non è ancora riuscita a realizzare, a livello professionale?

«Dirigere i Berliner Philharmoniker, una tra le più prestigiose orchestre sinfoniche del mondo».

Come si mantiene in forma? E in generale, cosa fa per stare in salute?

«Cammino, vado in bici, nuoto, ballo, faccio stretching anche tra una partitura e l’altra. Amo stare nella natura e in silenzio, godermi il verde, la campagna e il mare.
Mi nutro con cose semplici e poco elaborate, principalmente vegetali, pochissima carne (oltre ad essere animalista, non mi piace molto). Adoro il cioccolato e non posso farne a meno. Mi diverte cucinare, e mi piace mangiare e gustare vino buono, cosi come tanti compositori della storia da Verdi a Rossini. Eh sì, direi che in questo mi sento proprio una compositrice!». 

A cura di Claudio Gualdi