Ancora diffusa in tutto il mondo, è diventata piuttosto rara in Italia grazie alla vaccinazione obbligatoria, introdotta 30 anni fa, per i bambini in età scolare. Negli ultimi anni, però, se ne è osservato un ritorno, a causa di una perdita progressiva dell’immunità legata alla scarsità di richiami del vaccino. Parliamo della pertosse, detta anche “tosse canina”, malattia infettiva altamente contagiosa, che soprattutto nei neonati può dare complicazioni anche molto gravi. Conosciamola meglio allora con l’aiuto del dottor Francesco Saettini, pediatra.

Dottor Saettini, da cosa è causata la pertosse?

La pertosse è una patologia infettiva, di natura batterica e molto contagiosa, causata da Bordetella Pertussis. Una forma simile, ma con sintomatologia un poco più lieve, è data dal batterio Bordetella Parapertussis. La pertosse colpisce le vie respiratorie e si trasmette attraverso le goccioline di saliva emesse dalle persone affette attraverso starnuti, colpi di tosse o semplicemente parlando. Il contagio è quindi interumano e l’uomo è l’unico serbatoio della malattia.

 

L’importanza della vaccinazione, anche in gravidanza
La vaccinazione contro la pertosse è obbligatoria ed è inserita nel calendario vaccinale con somministrazione al terzo, quindicesimo e undicesimo mese di vita con successivo richiamo tra i 5 e 6 anni di età. Poiché, però, l’immunizzazione tende a diminuire nel tempo è indicato effettuare richiami periodici. Inoltre risulta di particolare utilità la raccomandazione di eseguire la vaccinazione materna in gravidanza, che permette la produzione da parte della madre degli anticorpi contro la pertosse e il passaggio degli stessi al feto nell’ultimo trimestre, proteggendo il neonato nei primi mesi di vita. Il vaccino è efficace non solo nel diminuire il numero di casi di pertosse, ma anche nel ridurre la mortalità legata alle complicanze.

 

Come si manifesta e che tipo di evoluzione ha?

Dopo un periodo di incubazione di 10-15 giorni da contagio, la malattia evolve in tre fasi.

> La prima fase, chiamata “catarrale”, della durata di 1-2 settimane, è caratterizzata da tosse produttiva (tuttavia indistinguibile da altre forme infettive che causano tosse), rinite (raffreddore) e in alcuni casi febbre lieve. Gli altri sintomi presenti, anche in questo caso però non facilmente distinguibili da altre forme di infezioni respiratorie, possono essere congestione nasale, faringodinia (mal di gola) e iperemia e secrezione oculare (occhi rossi e lacrimanti), astenia (stanchezza);
> nella seconda fase, detta “parossistica”, della durata di 2-4 settimane, la tosse diventa persistente e compaiono crisi o accessi di tosse. La tosse viene anche comunemente descritta come tosse convulsa o canina ed è solitamente resistente ai comuni sedativi della tosse. Gli accessi di tosse più spesso avvengono la notte, possono durare anche qualche minuto, causando vomito e anche provocando delle emorragie sottocongiuntivali e nel naso. Nei bambini più piccoli possono risultare molto pericolosi, portando a cianosi, apnee e difficoltà respiratorie;
> nell’ultima fase di “convalescenza”, della durata di 1-2 settimane, la tosse gradualmente migliora.

Le complicanze sono maggiormente frequenti nei bambini con età inferiore a un anno, nei quali la persistenza della tosse e gli accessi di tosse possono provocare, oltre a difficoltà respiratoria, anche disidratazione in caso di vomiti ripetuti e difficoltà all’alimentazione e sovrainfezioni batteriche (polmoniti, bronchiti e otiti). Rare ma possibili, sono anche complicanze neurologiche come crisi convulsive ed encefaliti. Nel neonato e nei bambini al di sotto di un anno, la pertosse può essere molto grave, addirittura mortale.

Come si diagnostica?

La diagnosi può avvalersi sia di indagini ematochimiche (ricerca degli anticorpi contro Bordetella Pertussis) sia di esami colturali (tampone nasofaringeo o rinofaringeo).

In cosa consiste la terapia?

Al domicilio, in particolare nei casi non complicati e negli adolescenti/adulti, si avvale di antibiotici (della classe dei macrolidi), antipiretici (ad esempio paracetamolo) ed eventualmente di broncodilatatori (come il salbutamolo). È fondamentale il riposo e mantenere un’adeguata idratazione. Se una persona necessita di ricovero potranno essere necessari terapia endovenosa (per correggere la disidratazione) e supporto respiratorio (ad esempio ossigenoterapia). 

 

A cura di Elena Buonanno
con la collaborazione di Dott. Francesco Saettini
Specialista in Pediatria
Presso CasaMedica Bergamo