Mettere nero su bianco i pensieri che ci attraversano, ma soprattutto gli eventi traumatici, i momenti difficili particolarmente densi a livello emotivo, può contribuire a migliorare il nostro equilibrio psico-fisico. «Immaginiamo un foglio bianco, una penna e i nostri pensieri: il foglio diventa uno spazio, la penna si trasforma in voce e i pensieri si concretizzano in frasi e parole. Inizia in questo modo un intimo dialogo con il nostro io più profondo, con la nostra anima. La scrittura ci permette di rielaborare e analizzare a fondo ciò che ci tormenta o che per noi risulta più difficoltoso da affrontare e/o comprendere. Scrivere ci consente di fare chiarezza, questo perché tradurre i pensieri in parole richiede un processo di elaborazione che ci obbliga così a razionalizzarli» spiega la dottoressa Michela Gritti, psicologa clinica.

Dottoressa Gritti, perché scrivere fa bene?

La narrazione permette di conferire nuovi significati a eventi importanti che hanno caratterizzato la nostra vita e di ricollocare momenti ed emozioni dolorose nel passato. Il potere della scrittura è prima di tutto quello di aiutarci a esprimere le emozioni, gli stati d’animo e le paure: già facendo questo potremo notare un abbassamento del nostro livello di attivazione emotiva. Attraverso la scrittura abbiamo la possibilità di esplorare il nostro mondo interiore, tutti i pensieri che abitano nella nostra mente e le emozioni a essi connesse. Inoltre, scrivere aiuta a tenere in ordine i pensieri, a comprendere meglio dilemmi e priorità, così come a diventare più consci di noi stessi e del nostro funzionamento. Per semplificare potremmo dire che scrivere ci aiuta a conoscerci meglio.

Quali forme di scrittura si rivelano più efficaci in questo senso?

Esistono svariate forme di scrittura. Nei percorsi psicologici spesso si utilizza la forma del diario e dello scambio epistolare. Ogni scelta, comunque, viene concordata con il paziente. Gli esercizi di scrittura infatti non fanno per tutti, perciò in ambito terapeutico vanno proposti solo se il paziente lo consente. Inoltre, le forme di scrittura da poter utilizzare sono davvero variegate e molto soggettive, dal diario epistolare alla poesia o alla lettera. Il consiglio, per farla diventare una pratica quotidiana da interiorizzare, è quello di cercare la forma di espressione che sentiamo più affine a noi, al nostro modo di essere e all’obiettivo che riponiamo nell’atto dello scrivere.

Quali sono, in particolare, i benefici?

La scrittura terapeutica sembra avere effetti sul nostro benessere psico-fisico sia nell’immediato sia a lungo termine. Di seguito alcuni dei benefici riscontrati:
> riduzione di stati ansiosi;
> miglioramento del tono dell’umore;
> minor stress percepito;
> miglioramento del funzionamento del sistema immunitario;
> miglioramento della funzionalità epatica e polmonare;
> riduzione di sintomatologie depressive;
> miglioramento della memoria di lavoro;
> miglioramento delle prestazioni sportive.

A chi può essere consigliata la scrittura come “terapia”?

Non ci sono particolari controindicazioni per questa attività che può essere praticata da tutti senza distinzioni. È bene ricordare che la scrittura ha benefici non nel senso che permette di guarire o far scomparire patologie o sintomatologie diagnosticate, ma aiuta nella gestione delle stesse, contribuendo a migliorare la qualità della vita e il benessere psicologico della persona. Un ulteriore aspetto positivo di questa attività è che può essere svolta in ogni momento e in ogni luogo, basta concedersi uno spazio dove poter realizzare tutto ciò. 
In uno degli esperimenti dello psicologo sociale americano James Pennebaker, uno dei pionieri della scrittura terapeutica, il ricercatore prevedeva che due gruppi di studenti narrassero con carta e penna il loro trauma più importante per almeno quindici minuti al giorno e per almeno tre giorni consecutivi. Il primo gruppo avrebbe dovuto fare questo esercizio descrivendo solamente i fatti accaduti, il secondo avrebbe dovuto unire alla descrizione dei fatti quella delle emozioni a essi associate. Un terzo gruppo, definito di controllo, aveva il compito di descrivere, nelle stesse modalità, un argomento ritenuto superficiale, ad esempio parlare di abbigliamento o di viaggi. A ogni partecipante fu chiesto di scrivere di impulso, come se la penna non dovesse mai staccarsi dal foglio e di sospendere per tutto il tempo della sessione qualsiasi forma di giudizio sullo stile, sull’ortografia o sulle scelte lessicali effettuate. I risultati di questa prima osservazione furono incoraggianti, poiché il numero di visite mediche richieste dagli studenti del secondo gruppo di scrittori (numero monitorato nei mesi precedenti e successivi alle sessioni narrative) aveva sperimentato un calo statisticamente notevole. I ricercatori ipotizzarono che nelle persone che avevano narrato, oltre ai fatti, le emozioni associate al trauma, i disturbi di natura psicosomatica fossero in qualche modo diminuiti. 

A cura di Elena Buonanno
con la collaborazione della dott.ssa Michela Gritti
Psicologa Clinica, Master in Valutazione multidimensionale e Tecniche per il cambiamento
Amae studio professionale a Casazza