L’antibiotico-resistenza è un argomento ricorrente da almeno vent’anni e oggi si ripropone con il concetto di “antimicrobial stewardship” ovvero di uso mirato, consapevole e personalizzato di tutto l’armamentario antibiotico e antibatterico disponibile per far fronte alle patologie infettive di origine batterica che si presentano. Ancora una volta però questo argomento cozza evidentemente con criteri obsoleti di appropriatezza sia economica sia clinica della terapia.

Se i batteri si “adattano” e resistono al nemico
Per antibiotico-resistenza si intende il progressivo adattamento di ormai numerose famiglie di batteri nei confronti degli antibiotici e dei disinfettanti antibatterici in genere che di fatto risultano quindi oramai debolmente efficaci se non del tutto inefficaci per svolgere il loro compito. Dobbiamo immaginare questa condizione come se fossimo su di un campo di battaglia per combattere un nemico che inizialmente non ha ancora armi difensive in grado di permettergli di sopravvivere alle armi che usiamo contro di lui. Il nemico però è scaltro e soprattutto estremamente adattabile, il suo fine ultimo è (come per tutti gli esseri viventi) sopravvivere come specie e quindi poter continuare a riprodursi se pur con delle minime modifiche del suo patrimonio genetico che lo rendono talmente “plastico” da poter mutare senza peraltro cambiare minimamente le sue caratteristiche peculiari di lesività e aggressività, anzi! I singoli batteri non hanno “coscienza” dei miliardi di loro simili che vengono annichiliti dalle nostre armi ma, in alcuni di essi, progressivamente, la necessità di sopravvivenza li spinge a sfruttare la loro plasticità che si avvale essenzialmente della loro capacità di sviluppare individui adulti nel giro di pochi secondi. In questa battaglia tumultuosa, alla fine alcuni individui, grazie a mutazioni continue occasionali, finiscono per trovare un nuovo equilibrio metabolico che permette loro di difendersi efficacemente dalle armi che impieghiamo contro di loro, di fatto rendendosi insensibili. A questo punto è facile immaginare che solo quella “piccola famiglia mutata”, parte di una grande e specifica famiglia di batteri, riuscirà a riprodursi vantaggiosamente e a riprendere il suo cammino di agente patogeno. In breve tempo questi soggetti mutati prenderanno il posto di quelli “non mutati” e quindi noi, gli assaliti, dovremo difenderci da queste nuove classi di batteri (oggi denominati “superbatteri”) che concentrano in un singolo individuo/capostipite tutte le strategie di sopravvivenza raffinate nel corso del tempo, non più solo contro un singolo agente antibatterico, ma contro numerosi agenti antibatterici, cosa che, di fatto, a volte lo rendono resistente a tutti gli agenti antibatterici correnti.

Attenzione ai rimedi per aumentare le difese immunitarie
Un buon sistema immunitario aiuta a difendersi dalle aggressioni degli agenti patogeni, virus e batteri in primis. Per questo, spesso, si ricorre a rimedi che vengono proposti come “miglioratori o potenziatori” del sistema immunitario. «Il nostro sistema immunitario è una “macchina” assolutamente delicata e altrettanto letale non solo per i nostri nemici ma anche contro noi stessi. Questo è dimostrato dalla progressiva scoperta e esacerbazione di molte malattie definite “autoimmuni” che ormai risultano essere oltre il 70% delle patologie che conosciamo. “Mettere le mani” in una macchina così delicata senza ancora disporre di un completo “libro-officina di uso e manutenzione“ ma affidandosi solo a piccole esperienze e a dicerie popolari non depone certo a favore di una futura tranquillità o di un insperato successo che ad oggi non possiamo prevedere, mentre invece conosciamo gli effetti collaterali spesso sgraditi legati a questi rimedi» sottolinea il professor Valverde. 

Individuare i punti deboli dei batteri per affinare e “differenziare” le armi
La nostra conoscenza della genetica batterica e la capacità di agire direttamente sul patrimonio genetico di questi batteri ci permette oggi di individuare i punti deboli rimasti e di approntare le contromisure adatte per produrre agenti antibatterici che agiscano esclusivamente su questi punti di momentanea debolezza del nemico o, come a volte accade, di utilizzare un composto “non battericida” ma in grado di “spiazzare” le difese del batterio, in modo che, tolte di mezzo le sue nuove armi, anche un “vecchio” agente antibatterico possa svolgere efficacemente il suo compito. Da tutto questo si deducono due lezioni fondamentali: innanzitutto che salvo casi rarissimi lo stesso batterio non dovrebbe mai essere trattato sempre e/o per lungo tempo con lo stesso farmaco e, in caso di recidiva in un singolo paziente, si deve poter disporre di altri farmaci ugualmente attivi che abbiano però delle caratteristiche di azione quanto più possibile diverse da quello usato inizialmente. Questo implica la possibilità di creare costantemente nuovi farmaci in tempi relativamente brevi (esattamente come abbiamo appena assistito con la produzione quasi “istantanea” di vaccini anti-COVID assolutamente innovativi nella loro componente, in grado di stimolare in modo assolutamente specifico l’attivazione delle nostre difese immunitarie con la produzione di anticorpi adatti alla bisogna). È evidente che tutto questo presupponga una grandissima disponibilità di risorse, che sicuramente non potranno più essere messe in campo da un singolo player ma da gruppi di player sostenuti anche in diversi modi dalle pubbliche istituzioni. Già oggi queste risorse sono assolutamente necessarie anche per sviluppare un singolo agente antibatterico magari inizialmente efficace solo in pochi pazienti selezionati (da qui il concetto di orfan–drug, cioè farmaci orfani) che quindi, allo stato delle cose, non potrà ancora avere la diffusione (e quindi il mercato) necessario per sostenerne i costi. Oggi tutti i medici dotati di buon senso e di capacità cliniche hanno compreso la necessità di attuare piani terapeutici quanto più variati possibile utilizzando tutti gli agenti disponibili al momento. Questa naturale tendenza verso l‘antibiotico resistenza” infatti non può essere affrontata “non affrontandola”, ovvero evitando di usare i farmaci disponibili e suggerendo invece l’impiego di integratori o di altri rimedi più o meno dotati di una qualche azione positiva che però si esplica solo a lungo e lunghissimo termine: gli agenti infettivi combattono sempre una battaglia rapida e, altrettanto rapidamente, potenzialmente letale. 

A cura del Prof. Massimo Valverde
Specialista in Farmacologia e Tossicologia, Patologia della Riproduzione Umana ed Endocrinologia
Direttore Sanitario Centro Medico MR Bergamo