“La velocità di incremento dei casi di contagio COVID-19 che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico”. Lo suggerisce La Società Italiana di Medicina Ambientale SIMA che ha recentemente pubblicato un “Position Paper” sull’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione. “In particolare si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio-29 Febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 Marzo (considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 Febbraio di 14 gg approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus fino alla identificazione della infezione contratta)” viene riportato nella relazione.

Nei giorni scorsi inoltre SIMA ha annunciato che il coronavirus SARS-Cov-2 è stato ritrovato sul particolato (PM). "Questa prima prova apre la possibilità di testare la presenza del virus sul particolato atmosferico delle nostre città nei prossimi mesi come indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell'inizio di una nuova epidemia", ha detto il presidente Alessandro Miani. “Le prime evidenze relative alla presenza del coronavirus sul particolato provengono da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in aria ambiente di siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti con due diversi campionatori d'aria per un periodo continuativo di 3 settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo”, spiega Leonardo Setti, coordinatore del gruppo di ricerca scientifica insieme a Gianluigi De Gennaro e a Miani.

Lo studio riportato nel "Position Paper" è partito dall'analisi dei livelli di inquinamento di particolato atmosferico in tutte le province italiane per correlarli con la diffusione del COVID-19.
La concentrazione giornaliera di PM10 viene rilevata costantemente dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) di tutta Italia. Lo studio ha preso in considerazione i dati pubblicati sui siti delle ARPA relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio, considerando il numero degli eventi di superamento del limite di legge (50 μg m-3) per la concentrazione giornaliera di PM10, rapportato al numero di centraline attive per Provincia.
I dati giornalieri sul numero di casi infetti da COVID-19 provengono invece dal sito della Protezione Civile.

Esiste una consolidata letteratura scientifica sulla diffusione dei virus nella popolazione che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (es. PM10 e PM2,5). “È noto che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze. Il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso diffusione del virus cioè di virulenza” spiegano gli esperti.

Correlazioni tra il contagio e la concentrazione di particolato atmosferico è già stata stata riportata in letteratura per altri virus:
- Nel 2010 per l’influenza aviaria, che può essere veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri che trasportano il virus.
- Nel 2016 per il virus respiratorio sinciziale humano (RSV) che causa polmoniti nei bambini e viene veicolato attraverso il particolato in profondità nei polmoni.
- Per il morbillo nel 2017 con dati su 21 città cinesi nel periodo 2013-2014 con diverse concentrazioni di PM2.5 e nel 2020 sui dati della città di Lanzhou (Cina).

La presenza di polveri sottili potrebbe dunque essere un fattore scatenante per la diffusione dell'attuale contagio. Se uniamo questo dato alle evidenze che virus come il COVID-19 provengono da un salto di specie e raggiungono l'uomo perchè ecosistemi come le grandi foreste sono stati violati, risulta chiaro che la questione ambientale deve essere trattata nel prossimo futuro come una vera emergenza da tutti i Paesi.

 

Redazione Bergamo Salute
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