Con l’inizio delle scuole molti bambini o ragazzi si trovano a vivere dei passaggi nuovi e spesso delicati. I piccoli entrano per la prima volta in un ambiente extra-familiare, senza mamma o papà, i più grandi, invece, devono affrontare il cambiamento di ciclo scolastico, ad esempio dalla scuola primaria a quella secondaria. Tutto questo porta con sé nuovi stimoli e occasioni di crescita, ma allo stesso tempo anche dubbi, timori e paure. Ecco allora i consigli della dottoressa Emanuela Zini, psicologa e psicoterapeuta, per superarli nel modo più sereno possibile.

Dottoressa Zini, cominciamo dall’inserimento al nido o alla scuola dell’infanzia, un momento spesso traumatico…
L’inserimento al nido o alla scuola dell’infanzia è un momento faticoso, ma anche importante, di crescita e autonomia. Ci sono bambini che restano a casa con mamma, nonni o babysitter spesso fino ai tre anni di età, quindi l’inserimento a scuola, o meglio “nella società”, può essere un passaggio che richiede al bambino coraggio, capacità di adattamento e risorse per tollerare la separazione dalle figure principali di riferimento. Se pensiamo ai più piccini, bisogna tenere in considerazione che possono mettere in atto tutta una serie di comportamenti di disagio o malessere, per esempio: regressioni (difficoltà nel controllo sfinterico, difficoltà nel sonno), manifestazioni di rabbia o pianto disperato nel momento dell’andare alla scuola dell’infanzia o nel momento della separazione/ricongiungimento con l’adulto familiare, rifiuto del cibo. Questo succede non per forza durante i primi mesi; alcuni, infatti, all’inizio non manifestano disagio, ma solo, successivamente, per esempio dopo le vacanze natalizie. Per comprendere e imparare a gestire queste reazioni bisogna tenere in considerazione i processi di separazione. Separazione significa allontanamento dalle figure di riferimento; è un processo carico di sofferenza (sia per il bambino sia per i genitori), ma fondamentale perché permette di acquisire la capacità di adattamento, autonomia, competenze sociali e individuali. In questo processo, spesso, gioca un ruolo anche la perdita del contatto con l’ambiente conosciuto e protettivo, per inserirsi in un contesto sconosciuto e tutto da scoprire.

Cosa si può fare per aiutare i piccoli in questa fase così delicata?
Per aiutare i bambini a stare in contatto con le emozioni che vivranno e superare le fatiche della nuova esperienza, consiglio spesso la lettura condivisa di libri/favole (per esempio “Il mio primo giorno di asilo”, “Topo Tip non vuole andare all’asilo”), ma anche alcuni cartoni, che parlano di processi di separazione e superamento delle difficoltà (per esempio “Rapunzel” che esce dalla torre, “Alla ricerca di Nemo” lontano dal papà deve ritrovare la strada di casa, “Ballerina” che si ritrova in una grande città, Simba de “Il re Leone” che rimane orfano di padre e deve diventare autonomo). I libri e i cartoni animati sono uno spunto per i bambini perché s’identificano con i personaggi della storia. Importante è poi che genitori riflettano sulle loro aspettative verso l’inserimento del figlio, ridimensionandole rispetto alle sue risorse o alle sue fragilità: alcuni sono sicuri delle capacità del bambino, altri, invece, sono molto spaventati, perché pensano che non riusciranno a separarsi da loro. Accettare e tollerare le reazioni del bambino non è facile per il genitore che si potrebbe sentire in colpa o inadeguato nel gestire certe dinamiche, spesso confuse con i “capricci”, quando, in realtà, sono manifestazioni emotive. Non bisogna dimenticare che il bambino inserito nella scuola dell’infanzia deve affrontare un compito arduo: imparare a gestire l’ambivalenza tra il bisogno di attaccamento ai genitori e il desiderio di autonomia. È vitale, quindi, permettergli di esprimere il suo disagio, anche se questo significa lasciarlo piangere. Il pianto, spesso, è accostato a sinonimo di debolezza o vergogna, in realtà, nel corso degli anni, molte ricerche hanno dimostrato il valore curativo del piangere. Una ricerca svolta all’University of South Florida di Tampa, condotta dallo psicologo Jonathan Rottenberg, difatti, conferma l’importanza del pianto emozionale come automatismo indispensabile per restituire tranquillità alla psiche.

Paura della separazione: i segnali da parte dei più piccoli
> Attesa ansiosa: frasi tipo “quando arriva la mamma?” espressa ossessivamente, rituali di saluto protratti
“ancora un bacio, un abbraccio, ancora un bacio”.
> Pianto ritualizzato: crisi disperate di pianto.
> Rifiuto del contatto: nessuna possibilità di apertura relazionale con i pari o gli adulti e rifiuto delle proposte didattiche o di gioco.
> Regressioni: essere di nuovo imboccati, riprendere oggetti transizionali magari non più utilizzati come il ciuccio, desiderio di dormire con i genitori.
> Agitazione fisica e aggressività.

Anche il passaggio da scuola dell’infanzia a elementari può essere faticoso…
Nel passaggio alla scuola primaria è utile trasmettere fiducia al bambino rispetto alle sue capacità e motivare rispetto a ciò che imparerà di nuovo. È buona norma evitare commenti negativi sulle maestre o compagni di classe e, soprattutto, l’eccessiva competizione tra i bambini (“Cosa ha preso nella verifica Luigi? Come mai ha un voto più alto del tuo?”). Dalla scuola primaria in poi, di sicuro, è presente anche un aspetto prestazionale, ma sta ai genitori non basare tutto l’apprendimento su quello. I bambini non devono andare a scuola che sanno già leggere e scrivere, lo apprenderanno insieme ai loro coetanei con i tempi necessari, ma hanno bisogno di essere preparati rispetto al cambiamento che avverrà, con la libertà di manifestare eventuali momenti di crisi. Capita spesso di incontrare genitori preoccupati perché il figlio da quando ha iniziato la scuola primaria “sembra sia tornato indietro, ha paure o che aveva superato o del buio che non ha mai avuto”. È normale: bisogna considerare che il bambino sta davvero investendo con tutte le sue energie su qualcosa di nuovo, quindi, può “cedere” un po’ manifestando un bisogno più infantile, che in realtà indica solo necessità di rassicurazione. Non ci si deve allarmare, ma accogliere i momenti di fragilità e dargli il tempo di adattarsi ai nuovi ritmi.

Nel crescere è sempre implicata la separazione: bisogna abbandonare le sicurezze raggiunte nella fase evolutiva precedente per arricchirsi di qualcosa di nuovo. Per Winnicott, pediatra e psicoanalista, la caratteristica centrale dello sviluppo umano è l’acquisizione e il sicuro mantenimento dello stadio “Io sono”, che significa riconoscersi come individuo che “ha forma e vita”. Nel corso del mutamento da una condizione di dipendenza assoluta (dalla madre) a una di dipendenza relativa avviene la scoperta del Sé”

Quali sono invece le difficoltà che possono emergere quando si è più grandi al cambiamento del ciclo scolastico?
Una volta, questa fase di transazione tra scuola primaria e secondaria era scandita dagli esami di quinta elementare, oggigiorno assenti; era una prova, un rituale che metteva il bambino un po’ in difficoltà ma nello stesso tempo gli permetteva di capire il passaggio a una nuova esperienza. Nonostante i ragazzi di oggi siano iper-stimolati, in realtà, arrivano meno autonomi e preparati. Per quanto riguarda, invece, quelli che iniziano la scuola secondaria di 1° grado (scuola media) o di 2° grado (scuole superiori) bisogna tenere presente, oltre al cambiamento scolastico, anche il mutamento fisico, emotivo, psicologico e cognitivo che accompagna l’adolescenza che stanno attraversando. Si tratta di un altro momento fondamentale nella costruzione della propria identità, perché il bambino lascia posto al futuro adulto. In questo periodo tanto complicato riaffiora ciò che era successo nel bambino piccolo durante il processo di separazione-individuazione nei confronti della madre. L’adolescente, infatti, attraversa una nuova separazione-individuazione in cui ciò che è messo in discussione è l’insieme degli oggetti d’amore tipici dell’infanzia da cui, a livello psicologico, si allontana e avvicina. Si verifica, quindi, un disinvestimento sulle figure genitoriali e ciò che hanno trasmesso, oltre che sul proprio “Sé infantile”, in un processo che confina con il “Lutto”. Quindi, mentre i ragazzi affrontano, ognuno a suo modo, la pubertà, sono anche coinvolti in processi di separazione, per esempio, dai compagni con cui hanno trascorso cinque anni alla scuola primaria, o nel caso delle superiori, devono allontanarsi dal paese in cui vivono per frequentare un istituto in città. L’evoluzione identitaria di ognuno è caratterizzata da un processo di differenziazione, inteso come capacità di mantenersi in equilibrio tra essere se stessi e il senso di appartenenza alla storia familiare. Differenziarsi vuol dire rispondere di sé in termini di pensieri, emozioni, azioni, a partire dalla comune appartenenza alla storia familiare e ciò che attraverso il distacco-separazione nasce è la capacità di autonomia intesa come capacità di distinguere tra sé e l’altro da sé (D’Amore e Mulè, 2004).

In che modo i genitori possono favorire e sostenere i ragazzi in questi processi di crescita e “costruzione” della propria identità?
Il frequentare la scuola e l’affrontare i passaggi di ciclo offrono ai bambini e ai ragazzi la possibilità di imparare a conoscere e a gestire le emozioni, a trovare le risorse per affrontare, in autonomia, aspetti nuovi, ad adattarsi ai contesti e alle richieste nuove, a volte, diverse da quelle familiari. Ogni bambino/ragazzo arriva ad affrontare questi processi in modo diverso e personale. Sia i bambini sia i ragazzi, però, devono essere accompagnati e preparati ad affrontare questi difficili cambiamenti. È necessario, perciò, che i genitori imparino a favorire lo svincolo del figlio, rimanendo però, contemporaneamente, un saldo punto di riferimento nei momenti di difficoltà. John Bowlby, psicologo medico e psicoanalista britannico, affermava che “la caratteristica più importante dell’essere genitori è fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi al mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato”. Servono, pertanto, le giuste rassicurazioni (“Lo so che hai paura ma vedrai che poco alla volta diventerà sempre meno”), l’evitare terrorismi inutili (“Ah vedrai cosa vuol dire andare alla scuola media, lì si che devi studiare!”), il comprendere le reazioni di paura, senza sminuirle o negarle, ma parlando per ridimensionarle (“Facciamo che prima di salutarci mi stringi forte la mano e mi porto via io la paura e la tristezza! Guarda c’è la tua maestra ora ti prende lei per mano”). Anche con i più piccoli, quelli che iniziano il nido, si può fare tutto ciò. Il genitore deve calarsi nei panni di narratore della nuova storia che il figlio deve affrontare. Quindi, buona avventura con una delle più belle frasi del “Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry: “Non ti chiedo miracoli o visioni, ma la forza di affrontare il quotidiano. Preservami dal timore di poter perdere qualcosa della vita. Non darmi ciò che desidero, ma ciò di cui ho bisogno. Insegnami l’arte dei PICCOLI PASSI”.

 

A cura di Elena Buonanno
con la collaborazione della dott.ssa Emanuela Zini
Psicologa e Psicoterapeuta Studio di psicologia Ambivere