Un mal di schiena che insorge soprattutto la notte e una rigidità che persiste anche nelle prime ore dopo il risveglio. La compresenza di questi due sintomi può essere il campanello d’allarme di una spondilite anchilosante, malattia infiammatoria autoimmune della colonna vertebrale caratterizzata da dolore, alterazioni della postura e limitazioni della mobilità, che in Italia colpisce circa 600 mila persone, soprattutto uomini giovani, con un impatto importante sulla quotidianità. Oggi, grazie anche a nuovi farmaci, chi ne soffre può avere una vita normale. A condizione, però, che sia diagnosticata precocemente.

Un dolore lombare che non lascia dormire
La spondilite anchilosante esordisce in modo insidioso con una lombalgia irradiata alla parte posteriore delle cosce che, a differenza delle sindromi sciatiche comuni, interessa alternativamente i due arti inferiori e non si estende oltre il cavo del ginocchio. Il dolore, causato dall’infiammazione di una o entrambe le articolazioni sacroiliache del bacino, è intenso durante la notte e a riposo, si attenua con l’esercizio fisico e si associa a rigidità mattutina. L’infiammazione della colonna vertebrale si estende verso l’alto con interessamento progressivo delle regioni lombare, dorsale e cervicale: i sintomi, inizialmente transitori, comprendono dolore, difficoltà ai movimenti della colonna e alterazioni della postura. Se la malattia progredisce, le vertebre si “saldano” tra loro fino a trasformare la colonna in un’unica struttura poco flessibile, detta “a canna di bambù”. Quando l’intera colonna è rigida, la persona assume una postura obbligata incurvata in avanti, caratteristica della spondilite anchilosante, detta per questo “malattia dell’uomo che non guarda più il cielo”. Se è colpito il tratto dorsale della colonna, con infiammazione delle articolazioni del torace, compaiono anche disturbi della respirazione. Le artriti periferiche interessano in genere le grosse articolazioni di anca, spalla, ginocchio, caviglia; insieme all’infiammazione di tendini e legamenti possono precedere anche di anni la malattia vertebrale, oppure restare manifestazioni isolate di una forma incompleta. La malattia ha un andamento caratterizzato da fasi d’infiammazione acuta e di remissione dei sintomi con miglioramento temporaneo; la progressione è più rapida nei fumatori e in chi fa vita sedentaria. Durante le fasi acute il dolore e la rigidità si accompagnano spesso a malessere generale, affaticamento e perdita di peso. Tra le manifestazioni non articolari sono frequenti le infiammazioni degli occhi e, in minor misura, il coinvolgimento del cuore, con comparsa d’insufficienza aortica e disturbi del ritmo.

La causa? Ancora sconosciuta
La causa precisa della spondilite anchilosante non è ancora conosciuta, ma si pensa che la malattia sia la conseguenza di una risposta immunitaria alterata a stimoli ambientali di natura infettiva, in persone suscettibili geneticamente. È nota da tempo una predisposizione correlata alla presenza di alcuni geni, il più importante dei quali è il cosiddetto “antigene HLA B27”, coinvolto nel funzionamento del sistema immunitario.

"Oggi per capire di soffrirne passano in media da 7 a 10 anni: il fattore tempo è fondamentale per garantire una buona qualità di vita a chi ne soffre"

Gli uomini giovani, i più a rischio
La spondilite anchilosante si manifesta tra i 20 e i 40 anni e predilige il sesso maschile, con frequenza tripla rispetto al femminile. Probabilmente la malattia colpisce entrambi i sessi in uguale misura, ma si manifesta in modo più lieve nel sesso femminile, nel quale spesso viene erroneamente diagnosticata come una comune lombalgia non infiammatoria.

Per la diagnosi bastano una visita e gli esami radiologici
La diagnosi è clinica e radiologica: la sacroileite (infiammazione dell’articolazione sacro-iliaca) può essere svelata fin dai primi sintomi con tecniche di risonanza magnetica o Tac, negli stadi più avanzati con normali indagini Rx. Le alterazioni degli esami di laboratorio non sono frequenti: è possibile riscontrare un aumento degli indici d’infiammazione, ma non esistono test di laboratorio specifici “diagnostici” per la spondilite anchilosante. I test per il fattore reumatoide sono negativi, e da ciò deriva il termine di “spondiloartrite sieronegativa”. Circa il 90% dei malati presenta nel patrimonio genetico l’antigene HLA B27, che viene ricercato al solo scopo di confermare la diagnosi: la sua positività non è sinonimo di malattia, così come la sua assenza non la esclude del tutto.

Esercizio fisico e fisioterapia, antinfiammatori e farmaci immunosoppressori: così si rallenta la progressione della malattia e si salva la qualità di vita
La terapia ha l’obiettivo di mantenere la mobilità della colonna e controllare il dolore infiammatorio. Le misure terapeutiche più importanti in questo senso sono la pratica regolare di esercizio fisico, soprattutto il nuoto, e di una fisioterapia mirata. Il dolore è ben controllato dai farmaci anti-infiammatori non steroidei (Fans), assunti durante le riacutizzazioni. Nei casi che non rispondono alla terapia con Fans e hanno tendenza a evolvere si ricorre ai farmaci immunosoppressori tradizionali o ai biotecnologici: entrambe le categorie rallentano, e in alcuni casi arrestano la progressione della malattia. Nella gestione terapeutica è fondamentale la riduzione dei fattori di rischio, tra cui, in primo luogo, il fumo; infatti, oltre a nuocere alla salute di cuore e respirazione, già compromessi nella spondilite anchilosante, può contribuire all’esordio precoce e alla rapida evoluzione della malattia.

Dan Reynols, 31 anni, cantante del gruppo rock americano Imagine Dragons ha più volte raccontato la sua lotta contro la spondilite anchilosante. L’artista ne soffre fin da quando era adolescente. La diagnosi è arrivata a poco più di vent’anni. Dopo aver sopportato dolori atroci, è riuscito a conquistare una vita normale grazie alla terapia.


LE ALTRE SPONDILOARTRITI
La spondilite anchilosante appartiene al gruppo delle spondiloartriti sieronegative, malattie croniche articolari che possiedono aspetti clinici comuni, e possono associarsi a psoriasi, a malattie infiammatorie intestinali e oculari, ad aftosi.

A cura della DOTT.SSA ROBERTA CACIALLI
Specialista in Reumatologia
Centro Medico Bergamo Sanità - Nembro
Studio Medico Polispecialistico
Fleming - Bergamo e Istituto Mario Negri