L’esperienza di un anestesista bergamasco che da quindici anni trascorre le sue ferie in una zona depressa del Ghana per salvare bambini e donne.
È appena tornato dal Ghana, dove con i suoi amici volontari, tra cui molti bergamaschi, sta costruendo un pozzo per la popolazione di Saboba che vive ancora in capanne senza servizi igienici, acqua potabile e suppellettili. Da quindici anni il dottor Diego Manzoni, 37 anni, anestesista rianimatore all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, fa la spola con il continente africano in estate e in inverno usando le ferie e i permessi.

Era uno studente di medicina quando scoprì questa regione nel nord del Ghana e la sua drammatica realtà legata a condizioni igieniche inesistenti.

Un progetto sanitario con la sua Onlus
"E' iniziato tutto nel 2000» ci racconta. «Ero andato ad Accra, la capitale, per uno scambio universitario. Lì ho avuto come compagno di stanza un collega africano originario di quella zona che mi volle portare a conoscere la sua regione. Ne rimasi affascinato e una volta tornato in Italia decisi di fare qualcosa per aiutare questa gente che mi aveva segnato con il suo sorriso, la disponibilità e con un modo di vivere pieno di valori che purtroppo noi occidentali abbiamo perduto. E così ho pensato a come costruire il progetto sanitario HEALTH-AID ONLUS (ndr. assistenza sanitaria). Devo ammettere che quando vado a trovare i miei amici africani sono io a sentirmi aiutato da loro. Mi danno una forza notevole anche se soffrono la povertà. Grazie a loro ho ritrovato me stesso, ma anche quelli che vengono con me scoprono un’altra dimensione, più umana». E da allora il dottor Manzoni, residente a Costa Mezzate, di aiuti ne ha portati davvero tanti grazie alle donazioni che molte persone fanno, in primo luogo la mamma, le zie, la nonna con i mercatini e lavori, e ha trasformato quel complesso di capanne in una bella comunità cercando di fare medicina preventiva e di aiutare i più giovani diffondendo nozioni di educazione sanitaria, portando farmaci e finanziando con piccoli crediti le donne per iniziare una nuova attività. «Abbiamo costruito una casa per i volontari, un ambulatorio, un laboratorio informatico per l’attività dei ragazzi che cominciano a familiarizzare con i computer. In progetto c’è anche una terza struttura» continua il medico.

Cure e corsi di prevenzione in 80 villaggi
Lì le giornate sono davvero impegnative. «Siamo presenti in un’ottantina di villaggi su 408 che distano anche due o tre ore di strada tra loro. Si comincia molto presto la mattina: andiamo nei villaggi. Cominciamo insegnando come prevenire e combattere le malattie, dalla malaria alla polmonite, dai vermi intestinali, alle fratture, dalle infezioni urinarie ai morsi di serpente. Come usare l’acqua esponendo le bottiglie al sole per diminuire l’attività microbica. Quindi sottoponiamo i nostri pazienti a visite mediche e alle fine distribuiamo anche abiti usati che arrivano dall’Italia. Nel pomeriggio stiamo invece nel nostro centro: visite in ambulatorio, medicazioni di ferite, lezioni agli studenti e altre attività come il microcredito alle donne o le borse di studio ai ragazzi. Finora abbiamo aiutato con piccoli prestiti almeno 80 donne per aprire una nuova attività, da parrucchiera, da sarta o per il commercio di cereali che è l’elemento base di questa zona oltre la pastorizia. E lo stesso abbiamo fatto per i giovani orfani o di famiglia numerosa con borse di studio, l’acquisto di libri, le uniformi, le rette. La giornata si conclude con la cena: è un momento particolare, importante. La definirei comunitaria, perché facciamo il punto sulla giornata confrontandoci tra tutti noi medici, infermieri, cuochi e il personale del centro». Che è aperto, come l’ambulatorio, tutto l’anno grazie agli infermieri locali e a David che gestisce tutte le operazioni confrontandosi con il dottor Manzoni via Skype almeno una volta alla settimana. Ora il sogno del medico bergamasco è di portare la sua esperienza e la sua onlus anche in altri luoghi, forse in India.

Una vita al servizio dei più poveri
Manzoni sembra una persona tranquilla, ma, come dice lui stesso, è alla continua ricerca della sua dimensione e del contatto con l’umanità. Ha cominciato quando era al liceo andando a costruire un rifugio per senzatetto in Germania, poi è stato a New York a fare da autista a un pulmino di handicappati mentali. Da medico, dopo aver lavorato al Policlinico di Zingonia e a Cambridge, è andato in Afghanistan in un ospedale di Emergency. «Mi mancava l’esperienza della guerra. È stato terribile vedere bambini che arrivavano da noi con le budella che fuoriuscivano dal corpo. Al momento sarei voluto scappare ma mi ha mandato avanti la forza di sapere che un piccolo gesto può avere un significato». Come è stato terribile il caso che ha vissuto in Ghana. «Un giorno è venuta in ambulatorio una mamma accompagnando due figli ammalati. Li abbiamo visitati e dato loro dei farmaci ma quando stava per andarsene, dopo avermi ringraziato, mi ha detto: “ Ho un altro bambino ammalato. è nella nostra capanna, non si muove più”. Sono andato con lei. Il piccolo era in coma. Aveva l’epatite B in stadio terminale. Con i miei colleghi e gli infermieri l’abbiamo portato al centro dove abbiamo organizzato una stanza quasi da terapia intensiva. Dopo tre giorni si è risvegliato. è stato un momento emozionante molto forte. Eravamo contenti per averlo riportato in vita. Poi purtroppo si è aggravato e non ce l’ha fatta. Per tutti noi è stato un grande dolore. Ecco io sogno che queste cose non debbano più accadere. E spero che la nostra associazione possa dare una mano, con l’aiuto di tutti, a evitare queste tragedie».

a cura di LUCIO BUONANNO