E' stato uno dei protagonisti dell'estate. Giornali, tg, radio, gli hanno dato ampio spazio spesso provocando e alimentando la paura dei telespettatori e dei lettori. Stiamo parlando del virus Ebola che ha provocato finora migliaia di morti in Africa, tra Guinea, Sierra Leone e Liberia. A creare timori anche in Italia è la virulenza di questo virus di cui si sa ancora molto poco e contro il quale al momento non ci sono vaccini anche se due medici americani e un infermiere sono stati salvati con cure però in fase ancora di sperimentazione. Ma è una paura fondata? Potrebbe arrivare anche da noi? Il dottor Fabrizio Pregliasco, virologo del Dipartimento di Scienze Biomediche per la salute dell'Università di Milano invita a non fare del terrorismo psicologico.

Attenzione sì, allarmismo no
«L'importante è un'informazione minuziosa, che non deve però trasformarsi in panico, e la ricerca di quelle misure igieniche che possono bloccare la pandemia con l'utilizzo di farmaci idonei. Insomma si deve mantenere alta l'attenzione ma senza allarmare. E fare ciò che è possibile per contenere i danni, anche con uno screening approfondito sul campo, qualora si presentasse un caso sospetto. Bisogna affrontare la recrudescenza dell'Ebola e di molti altri virus letali come l'Hiv, la Sars, la Tbc, la Malaria, che continuano silenziosamente a diffondersi, tenendo conto di un mondo che sta cambiando in un equilibrio ecologico compromesso dai nostri stili di vita. Tra noi e i virus ci sarà comunque sempre una guerra in corso. Oggi siamo preoccupati dall'impennarsi delle malattie infettive. Ma cos'è successo realmente? è successo che fino agli anni ottanta il mondo occidentale era convinto di averle debellate. Poi però l'Hiv ci ha risvegliato, ci ha tolto le certezze e ci ha ricordato che tra noi e i virus c'è sempre una caccia tipo guardie e ladri. Una specie di gioco che stentiamo a capire quando si ammalano troppe persone, magari nostri familiari e amici. Pensiamo alla tubercolosi e alle polemiche che stanno agitando l'Italia. Accusano gli emigranti di portare la malattia. Non è così perché spesso sono le condizioni di vita cui i migranti sono sottoposti a favorire e generare la malattia. Da noi arrivano sani altrimenti non potrebbero sopravvivere all'esodo, alla traversata di giorni in mare: è il fatto di essere costretti a vivere come vivevamo noi un secolo fa che li porta a contrarre l'infezione, in catapecchie e con un'alimentazione povera di proteine e di scarsa qualità». Ma vale lo stesso per l'Ebola oppure con gli sbarchi continui di clandestini può arrivare anche qui il virus? «È difficile anche perché il flusso migratorio che abitualmente giunge in Italia non arriva dai paesi contagiati. Certo, a bordo di un' imbarcazione potrebbe anche esserci un ammalato e quindi attivarsi una catena di contagio, ma è un'ipotesi lontana».

In Italia? Rischi minimi
Rischi per l'Italia quindi non dovrebbero essercene. «Il nostro Paese», come si legge nel sito del Ministero della Salute «ha messo in atto da mesi e rafforzato le misure per valutare e individuare ogni eventuale rischio di importazione della malattia da virus Ebola e contenerne la diffusione. Inoltre, il virus ha caratteristiche che in ambiti sanitari attrezzati lo rendono controllabile, scongiurando il rischio di contagio» aggiunge il dottor Pregliasco.

Come si trasmette e quali sono i sintomi
Ma che cos'è l'Ebola? «è una febbre emorragica spesso fatale che colpisce uomini e primati, come scimmie, gorilla, scimpanzé. L'origine non è nota ma i pipistrelli della frutta sono considerati i probabili ospiti del virus. Si trasmette negli uomini attraverso lo stretto contatto con sangue, secrezioni, tessuti, organi o fluidi corporei di animali infetti» spiega il dottor Pregliasco. «In Africa è avvenuta attraverso la manipolazione degli scimpanzé, gorilla, pipistrelli della frutta, scimmie, antilopi e istrici trovati morti o catturati nella foresta pluviale. Una volta che una persona sia entrata a contatto con un animale infetto e abbia contratto l'infezione (attraverso ferite della pelle, feci, urine, saliva) questa può diffondersi all'interno della comunità». Ma quali sono i sintomi tipici? «Febbre, intensa debolezza, dolori muscolari, insufficienza renale ed epatica, vomito, diarrea, emorragia. Il periodo di incubazione va dai 2 ai 21 giorni. Il paziente diventa contagioso quando comincia a manifestare i sintomi» conclude il professor Pregliasco.

La "scoperta" del virus
Il virus dell'Ebola, cui è stato dato il nome del fiume che attraversa la regione africana in cui è stato isolato, è stato scoperto nel settembre 1976 da un giovane ricercatore belga, Peter Piot. Fu lui, con due colleghi, a maneggiare i campioni di sangue prelevati da una suora fiamminga contagiata dalla febbre emorragica. Portò le provette, in aereo, in un termos di plastica in Belgio. Durante il viaggio una di queste si ruppe. I tre pensavano che si trattasse di una forma di febbre gialla ma non presero alcuna precauzione tranne quella di indossare dei guanti di lattice e senza coprirsi il volto con una maschera. In laboratorio, non superattrezzato, scoprirono che si trattata di una nuova, rara infezione. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ordinò che i campioni venissero trasferiti al Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta, negli Stati Uniti, dove quest'estate sono stati salvati due medici colpiti dall'Ebola. Ma prima di inviare i campioni Piot e il suo capo Stefaan Pattyn decisero di tenerne alcuni in laboratorio per fare altre analisi. E fu allora che scoprirono il virus più lungo mai visto prima: un virus a forma di verme.

In Italia fa più paura la tubercolosi
Il virus dell'Ebola fa paura, ma sono relativamente scarse le possibilità che arrivi in Italia. Forse, come sostengono gli esperti della Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali, c'è più da preoccuparsi della Sars e della Tbc. La Sars colpisce le vie respiratorie con tosse e difficoltà nella respirazione oltre a febbre alta. Si diffonde per stretto contatto tra uomini, probabilmente attraverso lo starnuto. Più preoccupante è la tubercolosi, malattia comunque curabile con terapie che durano dai 6 ai 24 mesi. L'infezione, dimenticata per tanto tempo e riemersa negli ultimi anni soprattutto tra immigrati, senza tetto, tossicodipendenti, si trasmette per via aerea attraverso i colpi di tosse o starnuti. In Italia, secondo il Ministero della Salute, l'incidenza della Tbc riguarda 7 ogni 100 mila abitanti, poco più di 4200 casi di malattia. Per contro la prevalenza di infezioni latenti (tra portatori sani e persone che ignorano di aver contratto la malattia) è pari al 12 per cento di tutta la popolazione, circa 7 milioni e 200 mila soggetti. Negli ultimi anni sono emersi molti motivi di allarme: nelle grandi città l'incidenza della Tbc è almeno quattro volte superiore alla media nazionale ed è più resistente alle terapie.

a cura di LUCIO BUONANNO