Ogni anno in Italia vengono eseguiti circa 50mila interventi di rimozione dell’appendice. Ciò vuol dire che l’8-10% della popolazione sarà sottoposto a questo tipo di intervento nel corso della vita. L’operazione chirurgica infatti è spesso l’unica cura risolutiva in caso di appendicite acuta. Oggi l’intervento può essere effettuato anche per via laparoscopica, cioè con tecnica mini-invasiva che garantisce tempi di ripresa più brevi e minori cicatrici.

Il rischio più temuto, la peritonite
L’appendicite è un processo infiammatorio che colpisce l’appendice, sottile struttura tubolare che ha origine dalla parte inferiore dell’intestino cieco. Inizialmente l’infiammazione è modesta, ma col passare delle ore può peggiorare fino a portare alla rottura della parete. In questo ultimo caso il contenuto dell’appendice si diffonde nell’addome causando una peritonite (infiammazione del peritoneo, membrana sierosa sottile e trasparente che riveste la cavità addominale), che rappresenta la complicanza più grave insieme all’ascesso.

La causa? Il ristagno di cibi non digeriti
Generalmente l’infiammazione è causata da un’ostruzione interna conseguente al ristagno di materiale fecale e sali inorganici (coprolita) nell’appendice, da ipertrofia dei follicoli o noduli linfatici appendicolari, che possono aumentare di numero e dimensioni in risposta a un’infezione locale o sistemica (mononucleosi, morbillo, morbo di Crohn, gastroenteriti, infezioni respiratorie etc.), oppure, più raramente, dalla presenza di un corpo estraneo (calcoli biliari, parassiti intestinali, semi incastrati all’interno etc.).

I sintomi: dal dolore alla febbre
La sintomatologia può essere variabile. Si passa da un vago malessere generale e un modesto dolore addominale che nelle ore successive diventa continuo e si sposta nella sede dell’appendice, ovvero a destra sotto l’ombelico. È frequente la nausea e la febbre, che può arrivare a 38-39 gradi. A volte l’esordio è acuto e improvviso con immediata comparsa di dolore, nausea e febbre. Nella maggior parte dei casi per la diagnosi basta una visita, a cui segue in genere un esame del sangue (il numero dei globuli bianchi in caso di infiammazione aumenta) in associazione a un’ecografia dell’addome per la conferma. L’esame ecografico, in particolare, è consigliato nelle donne, nelle quali c’è il rischio di confondere l’appendicite con patologie ginecologiche che presentano sintomi simili.

La chirurgia, laparoscopica, per risolvere davvero il problema
Non esiste una vera cura farmacologica per l’appendicite, se non l’uso di antibiotici e infiammatori per attenuare i sintomi. L’appendicectomia, ovvero l’asportazione chirurgica dell’appendice, è l’unico intervento risolutivo. L’intervento, sempre in anestesia generale, può essere eseguito per via laparoscopica o per via laparotomica (con un’incisione lungo la parete addominale). La laparoscopia, che oggi rappresenta il gold standard, oltre alla minore invasività, ha il vantaggio di consentire un decorso post-operatorio meno doloroso e più rapido, nonché dare migliori risultati estetici. L’intervento per via laparoscopica prevede generalmente tre piccole incisioni di piccolo diametro (1 centimetro e ½) che consentono di inserire una piccola videocamera (laparoscopio) e gli attrezzi chirurgici necessari per rimuovere l’appendice. A volte si utilizzano mini strumenti da tre millimetri per ridurre al minimo il danno estetico (mini-laparoscopia). A seconda del grado di infiammazione dell’appendice, inoltre, si usano strumenti diversi per l’asportazione (si va da lacci o clip in titanio in caso d’infiammazione iniziale fino all’uso di suturatrici meccaniche). Nei centri specializzati, anche in presenza di un’infezione estesa per peritonite o in presenza di un ascesso, la laparoscopia permette di pulire ogni angolo della cavità addominale e concludere l’intervento sempre per via laparoscopica evitando grosse e brutte cicatrici. La dimissione avviene in genere dopo un paio di giorni (di più se l’intervento è stato eseguito d’urgenza e in presenza di una peritonite diffusa). Il decorso e la guarigione sono molto rapidi e il paziente può tornare a mangiare alimenti leggeri già dal giorno successivo.

Vietato sottovalutare, soprattutto se capita spesso e si è donne
Il nostro organismo dispone di diverse riserve di energia. La principale, come quantità, è rappresentata dal grasso, ma la preferita sono gli zuccheri. Quando il glucosio (cioè lo zucchero nel sangue) scarseggia, l’organismo va a prendere l’energia che gli serve dagli acidi grassi o può convertire altre sostanze in zuccheri, attraverso un processo chiamato gluconeogenesi. Alcuni organi e tessuti come cervello e Sistema Nervoso Centrale, globuli rossi e fibre muscolari non sono in grado di utilizzare gli acidi grassi liberi; così, in condizioni di carenza di glucosio, possono utilizzare i corpi chetonici: sostanze derivate dalle scorte lipidiche la cui concentrazione è di solito molto ridotta in condizioni normali, ma aumenta in situazioni particolari come un digiuno prolungato o un lungo periodo senza introduzione di zuccheri.

Non esiste una dieta per prevenire l’appendicite. Un’alimentazione ricca di fibre, frutta e verdura di stagione però può aiutare a facilitare il transito intestinale riducendo così il rischio di ristagno dei cibi indigeriti nell’appendice. In corso di appendicite, invece, è consigliabile mantenersi leggeri e consumare verdure (carote, finocchi, insalata, melanzane e zucchine), carni bianche o rosse magre (preferibilmente cucinate ai ferri o al vapore), pesci, probiotici etc..


Anche se non si conosce esattamente il ruolo dell’appendicite, sono sempre di più le ricerche scientifiche che evidenziano la sua funzione di protezione dell’intestino dalle infezioni. Diversi studiosi l’hanno paragonata a un “bunker” in cui si rifugiano i batteri buoni da usare quando quelli che normalmente abitano l’intestino scarseggiano, ad esempio a causa di terapie antibiotiche o infezioni intestinali. Anche se si può vivere senza appendice, in realtà, questo organo avrebbe un ruolo positivo e di “regolazione” sul sistema immunitario e sulla flora batterica.

 

a cura del PROF. STEFANO OLMI
Responsabile Unità di Chirurgia generale e oncologica
Policlinico San Marco Zingonia