Un fenomeno nato in Giappone ma ormai dilagato anche in Europa.
Crescono anche in Italia le diagnosi dei cosiddetti “hikikomori”, adolescenti e ragazzi che rifiutano qualsiasi contatto con l’esterno, autoreclusi in fuga da un mondo da cui si sentono emarginati e feriti. Un’epidemia silenziosa di fronte alla quale i genitori si sentono impotenti. Non è depressione, non è dipendenza dai videogames, non è solo un disturbo d’ansia. Ma allora che cosa è? Come riconoscerla? E cosa si può fare per affrontarla nel modo corretto? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Diana Prada, psicologa e psicoterapeuta.

Dottoressa Prada, cosa si nasconde dietro questo nome un po’ particolare?
Hikikomori è un termine che deriva dal verbo hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi) e indica una sindrome sociale che si è diffusa dapprima in Giappone. Il termine hikikomori, coniato agli inizi degli anni Ottanta da Saito Tamaki, un noto psichiatra giapponese, nasce per definire un fenomeno di ritiro sociale, un isolamento dal mondo e da ogni forma di relazione. Il ministero della salute giapponese considera hikikomori chi non esce dalla propria abitazione per almeno sei mesi, non studia e non lavora.

Ci può spiegare cosa accade?
Accade che adolescenti e giovani iniziano a ridurre i contatti col mondo esterno, rifiutano di portare avanti gli studi, cercare lavoro e via via qualsiasi attività che li porti fuori dalla propria casa. La camera diventa il rifugio principe. Il fenomeno a cui siamo di fronte porta come estrema pratica l’evitamento del contatto con la luce naturale, del contatto con le persone, una forma totalizzante di rifiuto volontario di tutto ciò che c’è “fuori”. Il ciclo veglia-sonno è fortemente alterato, di giorno si dorme, la notte si lascia scorrere il tempo senza far nulla o con attività solitarie come il disegno, i videogiochi, la lettura di fumetti, l’uso di internet e di giochi virtuali online.

Cosa avviene in famiglia?
Si assiste spesso a quello che potrebbe sembrare un paradosso emotivo. Da un lato, soprattutto nei genitori, scaturiscono sentimenti di tensione e terrore legati alla paura che il figlio possa farsi del male, correlati a sensazioni di enorme tristezza e senso di colpa verso se stessi, impotenti di fronte a un muro di gomma. Dall’altro tutti i componenti della famiglia si trovano ad avere un’anestesia dei sentimenti. Questo anestetico in diversi casi viene reso evidente dalla privazione di sonorità delle parole del figlio che sviluppa una modalità comunicativa monotona e inespressiva. L’isolamento di cui stiamo parlando riguarda tutte le forme di contatto con l’altro, sia in contesto sociale, di amicizia, di studio, lavorativo ma anche interno alla famiglia, dove spesso si trasforma in situazioni che generano tensioni e violenza. Si può arrivare alla condizione in cui l’unica forma di contatto filiale è rappresentata dal passaggio del cibo attraverso la porta della propria stanza.

Che ruolo gioca il rapporto con la rete e internet?
A volte parlando di hikikomori si rischia di pensare che sia una forma di dipendenza da internet e che la rete non abbia nessuna possibilità di connotazione positiva nel poter riagganciare queste persone. Certo è che nella stragrande maggioranza dei casi si è di fronte a una creazione di realtà virtuali e parallele alla vita reale, ma ci sono stati casi in cui il veicolo di internet da trappola si è trasformato in nuova porta per ricondurre a un contatto con la realtà.

Come si può intervenire per aiutare i propri figli a uscire da questo isolamento?
Innanzitutto è fondamentale non trascurare eventuali campanelli d’allarme, come un insolito desiderio di isolamento o evitamento di attività scolastiche o extrascolastiche, e cercare subito di comprendere le motivazioni profonde del disagio. Per farlo può essere utile un intervento piscologico o di sostegno. Il sostegno a questo tipo di situazione sembra essere nella maggior parte dei casi la combinazione tra terapia familiare e terapia individuale in ottica sistemica. Come racconta la dottoressa Lia Mastropaolo in un articolo sul tema “Nuove patologie adolescenziali o nuove emergenze sociali? L’hikikomori è solo giapponese?”, l’uso misto permette, al contempo, di ampliare e restringere il sistema familiare, fluttuando dall’individuo al sistema e dal sistema all’individuo, all’interno dello stesso percorso terapeutico. Il lavoro in parte con il singolo non impedisce al terapeuta di mantenere integra nella sua mente la visione d’insieme della famiglia.

Le cause
> Caratteriali: gli hikikomori sono ragazzi spesso intelligenti, ma anche particolarmente introversi e sensibili.
> Familiari: l’assenza emotiva del padre e l’eccessivo attaccamento con la madre sono indicate come possibili cause, soprattutto nell’esperienza giapponese.
> Scolastiche: il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d’allarme dell’hikikomori. Molte volte dietro l’isolamento si nasconde una storia di bullismo vissuta a scuola.
> Sociali: gli hikikomori hanno una visione molto negativa della società e soffrono particolarmente le pressioni di realizzazione sociale dalle quali cercano in tutti i modi di fuggire.
Tutto questo porta a una crescente difficoltà e demotivazione del ragazzo nel confrontarsi con la vita sociale, fino a un vero e proprio rifiuto della stessa.

UN’EMERGENZA ANCHE IN ITALIA
In Italia, secondo le stime dell’associazione Hikikomori Italia (www.hikikomoriitalia.it), gli hikikomori sono circa 100.000. Dal 2013 a oggi si sono costituiti diversi centri di studio sul fenomeno e un’associazione nazionale (Hikikomori Italia), all’interno della quale c’è uno spazio di confronto e gruppi di genitori che stanno vivendo l’isolamento dei propri figli.

a cura DI ELENA BUONANNO
con la collaborazione della DOTT.ssa DIANA PRADA
Psicologa Psicoterapeuta sistemico relazionale e formatrice équipe The Clew.