La 33enne bergamasca Sara Dossena ci racconta la sua personale rivincita nella maratona di New York e il suo sogno di ragazzina: correre alle Olimpiadi. «Se ci penso ho ancora i brividi». Sono queste le prima parole di Sara Dossena, 33 anni, triatleta originaria di Clusone, salita alla ribalta delle recenti cronache per essere arrivata prima tra le atlete italiane all’ultima maratona di New York del 5 novembre scorso e sesta donna assoluta. Un sogno che si è realizzato grazie alla sua inesauribile tenacia, nonostante i numerosi infortuni subiti negli anni.

Sara non è certo una che molla. La corsa ce l’ha nel sangue. Ha talento e grinta da vendere. La sua carriera inizia a 17 anni nella categoria Allievi. Nel 2002 partecipa ai Mondiali di corsa in montagna in maglia azzurra, categoria juniores e nel 2003 in Alaska. Il suo percorso sembra essere roseo e promettente, ma proprio quell’anno segna l’inizio di una serie di infortuni che la costringono ad allenarsi e gareggiare poco fino allo stop. « Il mio punto debole sono soprattutto i piedi. Ho sofferto di fascite plantare e per ripetute microfratture da stress ai piedi. Dopo aver scoperto di aver trascurato e fortunatamente superato una mononucleosi, che consideravo solo stanchezza e affaticamento da gara, allenamenti e lavoro, mi sono fratturata anche la tibia, sempre a causa dello stress. Nella corsa e soprattutto nelle distanze lunghe, i piedi sono molto sollecitati. Sono finita diverse volte sotto i ferri. Ogni volta dovevo ripartire daccapo, o quasi. Insomma, un supplizio, ero esasperata». Così nel 2007, dopo aver corso l’Europeo dei 10.000 da infortunata, a malincuore Sara dice basta. Si dedica al nuoto e alla bicicletta, fino alla scoperta del triathlon. «Nel 2011 un mio vecchio allenatore consiglia il triathlon, perché col nuoto e il ciclismo sarebbe stato meno traumatico allenarmi. Ho provato, m’è piaciuto subito e ho visto che in effetti non avevo particolari problemi. Non che siano mancati gli incidenti: quelli pare che siano una costante della mia vita d’atleta» dice ridendo. Nonostante gli infortuni però Sara si fa notare anche in questa disciplina conquistando diversi titoli italiani e anche qualche medaglia internazionale. Ma la corsa le manca troppo e così dopo qualche anno ci riprova, questa volta con la maratona. «L’ho fatto per variare un po’, anche per riprovare certe sensazioni» ammette.

E così scatta “l’operazione maratona” che l’ha portata a New York: un esordio in grande stile il suo e una rivincita personale. «L’obbiettivo era divertirmi, emozionarmi e vivere questa mia prima esperienza con il cuore. Dalla prossima si penserà seriamente al cronometro». La preparazione per la 42 chilometri più famosa al mondo è stata molto dura, ma grazie al suo coach Maurizio Brassini e alla sua profonda dedizione, non solo ha raggiunto ma anche superato l’obbiettivo delle 2 ore e 30 minuti che si era data (il tempo finale è stato di 2:29:39). La sua prima maratona Sara l’ha preparata con pazienza e affrontata con altrettanta calma e consapevolezza. «Ho vissuto il tempo della gara veramente bene. Temevo di sentirmi insicura e di non reggere i 42 km; invece l’ho corsa serenamente, assaporandola. È stata un’esperienza incredibile. Non me l’aspettavo proprio. È stata una emozione grande, durata tutta la gara, mi sono quasi commossa. Il tifo, il pubblico, sono unici e incredibili».

Accanto a lei, fino al traguardo di New York, c’è sempre stata la sua famiglia, a darle forza e coraggio anche quando gli infortuni le facevano vedere tutto nero. «I miei non sono sportivi, ma come tutti i genitori che vogliono vedere i propri figli realizzarsi nella vita e felici, hanno sempre appoggiato la mia fortissima passione per la corsa. Nei momenti più difficili sono stati la mia forza. Quando non sapevo più se mollare o andare avanti e provare ancora, avere la mia famiglia accanto mi ha fatto capire che mi avrebbero sostenuta e capita nella mia decisione di non fermarmi e tenere duro. Superare certi traumi non è solo questione di forza fisica: è la motivazione a spingere. Quando hai una passione, una vera passione per lo sport come la mia, la forza la tiri fuori e non c’è delusione che ti possa fermare» continua Sara.

E infatti Sara non ha nessuna intenzione di fermarsi, anzi. «Oggi che ho scelto la maratona come mia prima attività, nello sport e della vita, non lascerò il triathlon. Continuo ad allenarmi come un triatleta, aggiungendo alla corsa a piedi nuoto e bici, perché queste due discipline mi permettono il potenziamento muscolare, ma soprattutto sottopongono a meno stress i piedi. Variando le discipline in sede di allenamento ho raggiunto il mio equilibrio». Intanto però pensa alle prossime maratone, con un occhio in più al cronometro questa volta, ai campionati europei di Berlino (2018) e ai giochi olimpici di Tokio (2020). Una bella sfida che Sara affronterà, come sempre, mettendoci l’anima e senza paura. Complimenti e in bocca al lupo allora!

"Non sono seguita da un nutrizionista. Ho il mio allenatore Maurizio Brassini e negli anni ho trovato come alimentarmi in modo equilibrato. Nei periodi di allenamento più intenso o quando affronto una gara servono ovviamente più carboidrati, perché è fondamentale non andare in carenza di energie: allora mi sforzo di mangiare più piatti di riso, dato che non sono un’amante della pasta”

Le fratture da stress
Le fratture da stress (o da fatica), sono dovute a numerosi microtraumi ripetuti, come avviene negli sport da endurance. Si crea, quindi, uno squilibrio tra sovraccarico funzionale e capacità di resistenza meccanica dell’osso, a causa di allenamenti troppo intensi, alterata biomeccanica, osteoporosi, amenorrea o squilibri ormonali. I segmenti ossei più colpiti sono calcagno, scafoide tarsale, metatarsi, tibia e perone. Il dolore, all’inizio, si manifesta dopo l’attività sportiva, poi tende a comparire anche durante lo sforzo fisico. Spesso le radiografie, a differenza della risonanza magnetica, risultano negative nelle prime tre-quattro settimane. Dottor Roberto Orlandi - Ortopedico e Medico dello Sport - Comitato Scientifico di Bergamo Salute

a cura di Alice Rota
Ph. Maki Isayama