«Vivo per la poesia. Ne scrivo una al giorno e spesso le leggo ai miei pazienti. Credo che la poesia possa avere un effetto terapeutico sugli ammalati. Io ci provo e noto che i pazienti, soprattutto quelli che devono subire un intervento chirurgico, sentendo i miei versi si rilassano, riescono a superare la loro ansia e i timori per l’operazione». Ornella Mereghetti Baccolo, infermiera del Policlinico San Marco di Zingonia, scrive poesie da quando aveva 15 anni. Ora ne ha 55, ma la sua vita è stata a dir poco travagliata.

Per 55 anni non ha conosciuto il suo vero padre, ha subito violenze dal patrigno, ha conosciuto l’esperienza dell’orfanotrofio. Nella sua prima raccolta di poesie “Cartoline dall’inferno, ricordi di infanzia”, cerca di liberarsi dalle sue paure, dagli incubi che non la facevano dormire la notte, e trova la forza di raccontare in versi quello che ha dovuto sopportare negli anni dell’infanzia che dovrebbero essere i giorni più belli e felici per qualsiasi creatura.
«C’è tanto dolore, quello che ho sofferto per tanti anni» ci dice commovendosi ancora, «ma c’è anche il mio perdono per chi mi ha fatto penare tanto. Le mie poesie sono nate così. Mi hanno salvato la vita, mi hanno aiutato a trovare la pace, l’amore, la felicità. Sì, sono state davvero la cura per la mia anima e io cerco di trasmettere questa gioia, o meglio questa terapia, alle persone che seguo in ospedale. A fine giornata mi fermo a parlare con i ricoverati, una battuta, un sorriso e poi mi apro, cerco di capire che tipo di paziente ho davanti, se c’è empatia tra di noi, gli rivelo che ho appena scritto una poesia e, se lui accetta di sentirla, gliela recito».
Lo fa anche con noi che la intervistiamo. E ci recita “Autunno”. Ha le lacrime agli occhi, ma la voce è sicura. È la prima poesia che ha scritto quando era in orfanotrofio. Ecco l’inizio: “C’è un sole pallido/ questa mattina/ sui rami foglie/ multicolore/ l’autunno avanza/ l’estate muore/ Là nel giardino/ ora per ora/ quella fontana / chiacchiera ancora/ Sopra la statua/ di San Giuseppe/ un piccolo passero/ cinguetta piano/ pare che chieda/ per cortesia/ ancora un poco/ dell’allegria/ che la dolce estate/aveva portato…”.
Di libri ne ha pubblicati diversi: “I temporali e gli incendi”, “Il mare nuovo”, “Le stelle nelle tasche” diventato una rappresentazione al Teatro Nuovo di Treviglio dove Ornella abita e vive con la famiglia, le due figlie Elisa, 24 anni, e Giulia,20. Ma le sue performance teatrali l’hanno portata anche al Teatro San Babila di Milano dove ha recitato le sue poesie con grande successo. E grande interesse riscuote anche la sua rubrica di mezz’ora su Pienneradio di Pontirolo Nuovo in cui intervista colleghi poeti e scrittori; organizza incontri culturali, eventi per beneficenza. Una vita intensa con un’altra spada di Damocle sulla testa. Ornella soffre di endometriosi, una malattia spesso invalidante e molto dolorosa che colpisce l’utero e altri organi interni.
«Anche in questo caso la poesia mi aiuta» rivela. «Per sei mesi sono entrata e uscita dalle sale operatorie, mi hanno tolto un metro e mezzo di intestino, organi. Mi hanno dato la morfina per non farmi soffrire. Ora ho una vita molto delicata, sono una persona che soffre fisicamente tantissimo, ma vado avanti con le mie poesie. Io sostengo che sono la fotografia del mio cuore, osservo tanto e poi scrivo. Comincio la mattina appena mi alzo, prima di fare colazione. È da sempre la mia terapia: scrivere versi, aiutare gli altri. Per 17 anni ho fatto l’infermiera in un centro frequentato da persone con problemi psichiatrici. È stata un’esperienza stupenda. Facevamo corsi vari, di lettura, di poesia. E i miei pazienti, con alcuni dei quali ho ancora contatti, si impegnavano. Anche per loro è stato un buon aiuto terapeutico».
Nonostante tutti i problemi, Ornella ha un sorriso contagioso. Forse perché la vita le ha regalato anche delle sorprese inaspettate. Come quando qualche mese fa ha realizzato un sogno che fino a poco tempo prima credeva irrealizzabile: conoscere il padre che non aveva mai visto e che, a sua volta, non sapeva dell’esistenza di questa figlia.
«Mia mamma l’aveva conosciuto quando lui, calabrese, faceva il servizio militare a Bergamo. Era stato amore a prima vista, ma poi lui era tornato nella sua Calabria e mia madre non l’aveva più cercato neppure per dirgli che aveva avuto una figlia da lui. Poi quando io avevo otto anni si era sposata con quell’uomo che aveva reso una tragedia la mia vita e quella delle altre tre mie sorelle nate da questo matrimonio. Abusava di noi, ma nessuno mi credeva e così finii in orfanotrofio. A febbraio invece ho incontrato il mio vero papà. Vive a Crotone ma è molto malato per colpa delle fibre di amianto che c’erano nell’azienda in cui ha lavorato per anni. È avvenuto tutto per caso. Stavo guardando in tv la trasmissione “Così vicini così lontani” nella quale facevano incontrare figli e genitori che non si vedevano da anni o non si conoscevano proprio come nel mio caso. Ho chiamato la Rai e loro hanno contattato mio padre, Domenico Sansone. Ci siamo incontrati tre volte. Una grandissima emozione che ho trasferito nelle mie poesie. E finalmente ho avuto il modo di pronunciare per la prima volta “papà”».

a cura di LUCIO BUONANNO