Settemila 236 bambini adottati, strappati alla strada, alla miseria, alla morte grazie alle cure mediche; 44 scuole dove i ragazzi imparano un mestiere e si aprono a un futuro più roseo; cinque cliniche di cui una mobile che va nei posti più sperduti; 250 pozzi artesiani per portare l’acqua nei villaggi e nei campi che ora danno anche tre raccolti l’anno; decine e decine di casette per i più disperati; un intero villaggio con 50 appartamenti e una stalla; 36 ragazzi sieropositivi e decine di portatori di handicap fisici e psichici che vengono seguiti con amore; 4 mila persone che si sono trasformate in “padrini” e “madrine”, versando un contributo mensile, per adottare un bambino a distanza o hanno contribuito a costruire una scuola o un dispensario per le cure mediche. Ecco, in sintesi, i risultati ottenuti in 23 anni da Helene Ehret, fondatrice e presidente dell’associazione onlus “Missione Calcutta” (www.missionecalcutta.it).

 La incontriamo nel suo ufficio di Scanzorosciate. Ha 81 anni, ma una verve incredibile e lavora per i suoi bambini indiani dalla mattina alla sera. Ogni anno parte per l’India con collaboratori e volontari per verificare di persona i centri dove è presente la Missione. Una delle sue preoccupazioni è ora la scelta del suo erede. «Quando ho cominciato non avevo una lira» ci racconta. «Eppure sono riuscita, grazie al generoso contributo di amici e di tanti “padrini” a realizzare in India progetti che sembravano impossibili. Ma perché proprio in India? Nel 1974 avevo adottato a distanza una ragazzina indiana. L’ho mantenuta agli studi per diversi anni e infine l’ho fatta venire in Italia. Non è stato facile. Ho capito però che sradicare la gente dalla propria terra è un vero e proprio atto di violenza».
Il suo sogno, che si è trasformato in un ininterrotto impegno verso i più deboli e diseredati, comincia quando aveva solo 11 anni, subito dopo la guerra, in un collegio-orfanatrofio. I suoi genitori avevano problemi economici e lei e i fratelli vengono mandati in un istituto in Borgogna dopo che l’Alsazia era diventata francese. «C’erano ragazze dai 6 ai 21 anni», racconta commovendosi «alcune con traumatiche conseguenze della guerra. Per un anno e mezzo, fino a che mio padre non trovò un lavoro e ci riportò a casa, ho assistito a punizioni violente, sadiche e pensavo che era ingiusto che i bambini soffrissero. Ricordo il trattamento inflitto a quei miei coetanei che non avevano nessuno che li venisse a trovare, mentre quelli come me che ricevevano visite erano trattati con più riguardo. Quell’esperienza mi ha segnato e mi sono riproposta che da grande avrei aiutato i piccoli abbandonati e in difficoltà. Ma solo quando sono andata in pensione ho potuto realizzare il mio sogno».
Nel 1992 Helene scrive a Madre Teresa di Calcutta chiedendole come potesse aiutarla. «Lei mi rispose: Dio la benedica, e mi consigliò di rivolgermi al Centro di aiuto presieduto dal suo stretto collaboratore, l’arcivescovo Henry D’Souza; cosa che feci subito. Poco dopo ricevetti le foto e le storie di 15 ragazzi del villaggio di Silda, a 170 chilometri da Calcutta, che non avevano la possibilità di frequentare una scuola se non venivano aiutati. Ci voleva un padrino per ognuno di loro, occorrevano 20 mila lire al mese. Non sapevo dove trovare i soldi ma il pensiero di aiutare questi bambini mi attanagliava e io, che non mi sarei mai sognata di chiedere denaro a qualcuno, trovai il coraggio di rivolgermi ai miei ex colleghi di lavoro».
Comincia così Missione Calcutta. A quei quindici ragazzi se ne sono aggiunti negli anni più di 7 mila in varie zone dell’India. Sono state costruite scuole, dispensari medici e cliniche come quella ortopedica e quella oftalmica. «Con la collaborazione del Lions Club locale organizziamo giornate per l’intervento gratuito alla cataratta ; mentre nel centro ortopedico facciamo la riabilitazione motoria e curiamo con medicine alternative; ogni settimana distribuiamo generi alimentari e abiti ai più poveri, portiamo l’acqua nei villaggi scavando pozzi in profondità perché in superficie le falde sono inquinate dall’arsenico». Alle spese contribuiscono i 4 mila padrini e madrine che versano 20 euro al mese. Ma ci sono anche sostenitori importanti come un imprenditore napoletano che ha regalato 750 mila euro per la costruzione di una scuola che ora ospita 2500 ragazzi; o come le due mamme che hanno perduto i loro figli in incidenti stradali e hanno donato a Missone Calcutta i risarcimenti dell’assicurazione permettendo la costruzione di un dispensario a Basinda ora gestito dalle Suore di Madre Teresa. O come la signora di Pontirolo Nuovo che ha stanziato i fondi per costruire la clinica ortopedica che, ogni giorno, accoglie e cura oltre 100 pazienti.
«Tutto questo ha davvero dell’incredibile» dice Helene. «Grazie alla generosità di sostenitori come questi e di volontari che mi aiutano in mille modi siamo riusciti a portare a termine tanti progetti. E penso alle parole di Madre Teresa: Dio vi benedica. Sono sicura che Dio mi ha benedetta veramente». Ma Helene Ehret è già pronta a vararne altri. Tornata un mese fa dall’India, come sempre è rimasta colpita dall’indigenza di tanta gente, soprattutto degli anziani. Così ha deciso di dedicarsi anche a loro, costruendo una casa per chi vive e dorme per strada solo, abbandonato, malato. E vuole dare loro un po’ di speranza come sta facendo con i 36 ragazzi sieropositivi. «Sono curati bene, hanno ritrovato il sorriso e intravedono il futuro. Il mese scorso ho parlato a lungo con due di loro: uno mi ha confidato che da grande vuole fare l’artista, l’altro l’ingegnere. Ecco: la nostra Missione è aiutare queste persone sottoprivilegiate a sperare in un futuro più umano e vivibile».

a cura di LUCIO BUONANNO