Non sembra più fare paura, eppure continua a contagiare. 3.695 italiani, uomini e donne, nel 2014, hanno scoperto di essere sieropositivi, un dato che non si è modificato negli ultimi tre anni. È questa la fotografia scattata dal Centro Operativo dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS che si celebra ogni anno il primo dicembre. 

Anche se la malattia negli ultimi dieci anni è praticamente sparita dalle prime pagine dei giornali (salvo ritornarvi per fatti di cronaca come quelli degli ultimi mesi con protagonisti giovani uomini che avrebbero contagiato volontariamente decine di "vittime" ignare) e non è più oggetto di campagne di prevenzione, questo non vuol dire che non ci sia più. Anzi il numero delle infezioni non solo non è diminuito negli ultimi anni, ma ha ricominciato ad aumentare costantemente. «Secondo i dati dell’ISS, ben l’81% delle infezioni è attribuibile a rapporti sessuali non protetti: il 43% dei contagi avviene tra eterosessuali, il 38% per rapporti tra maschi» dice la dottoressa Maria Rita Milesi, psicologa-psicoterapeuta e sessuologa. «Se all’inizio dell’epidemia, quindi, erano quasi esclusivamente gli omosessuali a essere a rischio di infezione, da molto tempo non è più così. Anche le coppie eterosessuali, contrariamente a quello che solitamente si è portati a credere, sono colpite dal virus».

Dottoressa Milesi, ma perché le persone assumono comportamenti irresponsabili pur sapendo che corrono dei rischi?
Si adottano comportamenti imprudenti per diversi motivi. Innanzitutto la percezione del rischio personale è di gran lunga inferiore alla percezione del rischio altrui: gli eventi negativi sono visti molto più probabili per qualcun altro piuttosto che per se stessi. Nel caso dell’AIDS, inoltre, il rischio è percepito più verso gruppi specifici (ad esempio omosessuali o tossicodipendenti) piuttosto che comportamenti specifici. Inoltre le persone si sentono relativamente poco minacciate, in quanto gli esiti negativi della malattia sono lontani nel tempo rispetto al comportamento rischioso: possono passare anni dalla contrazione del virus al manifestarsi della malattia vera e propria, l’AIDS. In secondo luogo, oggi l’HIV fa meno paura e questo espone le persone a un maggior rischio di contagio. Rispetto ai primi anni in cui emerse l’allarme, quando non esistevano farmaci in grado di contrastare il virus, l’AIDS era una malattia con una mortalità del cento per cento. Le terapie antiretrovirali hanno fortunatamente cambiato il decorso della malattia trasformandola da invariabilmente mortale a malattia cronica. Infine, un altro fattore riguarda la difficoltà a negoziare l’uso del preservativo. Il profilattico è una barriera fisica che elimina quasi totalmente il rischio di contrarre il virus, tuttavia ancora oggi molte persone hanno rapporti sessuali non protetti, correndo così un serio pericolo per la propria salute o per quella del proprio partner nel caso in cui un membro della coppia abbia rapporti con altre persone senza protezioni.

Ma perché ci sono tante resistenze all’uso di quello che in molti casi potrebbe essere un “salvavita”?
I rapporti sessuali si configurano come una situazione emotivamente e fisicamente coinvolgente in cui può essere estremamente difficile concordare con il partner l’utilizzo di precauzioni efficaci, soprattutto se si è insicuri nella gestione della relazione con l’altro sesso. E così vergogna, oppure il timore di allontanare o perdere l’altro, hanno il sopravvento. Questo è vero soprattutto per le donne, che spesso evitano di chiedere al partner di utilizzare protezioni poiché ne temono il giudizio; oppure il loro ruolo nella coppia non consente sufficiente spazio alla contrattazione sul suo uso, anche per il fatto che la scelta di utilizzarlo non può essere gestita in prima persona dalla donna e richiede necessariamente la collaborazione dell’uomo.

Cosa succede alla coppia quando uno dei due partner scopre di essere sieropositivo?
Chi contrae il virus HIV fa i conti innanzitutto con grandi preoccupazioni relative alla malattia e allo stigma che si associa all’essere sieropositivo, ma deve anche convivere con ripercussioni psicologiche notevoli (ad esempio ansia e depressione). Se la persona ha una relazione di coppia stabile il senso di colpa prevale: oltre a dover confessare il tradimento, c’è il tormentoso timore di aver contagiato il partner, così l’attesa della negatività del test HIV si carica di grande angoscia per entrambi. Nel partner che ha subito il tradimento e che scopre di essere stato messo in pericolo proprio da chi ama emergono rabbia, delusione, sfiducia, paura. Se il test conferma il contagio difficilmente la coppia trova le risorse per rimanere insieme. Se invece il partner sano non è stato contagiato, la coppia deve affrontare vissuti di smarrimento, paura, rabbia, inadeguatezza, fallimento e incomunicabilità che mettono comunque a dura prova la tenuta della relazione, soprattutto perché emergono aspetti prima sconosciuti del partner sieropositivo. L’aspetto più colpito è sicuramente quello della sessualità. L’uso corretto del profilattico permette di prevenire l’infezione del partner negativo e di evitare gravidanze a rischio per il neonato (gravidanze che, se programmate, sono comunque possibili). Tuttavia, il preservativo può essere avvertito come una barriera all’intimità o come un costante ricordo dell’infezione. Vi sono coppie che decidono di rinunciare alla sessualità privilegiando gli aspetti affettivi della vita a due. In casi estremi e patologici, invece, il partner negativo rifiuta le precauzioni come estremo gesto d’amore per dimostrare all’altro la sua illimitata accettazione attraverso la condivisione dello stesso destino. Spesso la coppia vive l’incubo di un segreto che grava come un macigno sulla relazione: la sieropositività è nascosta a tutti, persino ai familiari, per via dello stigma e dell’ignoranza che ancora resistono nella società. Purtroppo, proprio lo stigma associato alla sieropositività è una delle ragioni principali per cui troppe persone non adottano precauzioni facilmente disponibili e per cui addirittura temono di effettuare il test HIV.

Il virus colpisce prevalentemente gli uomini. Questi rappresentano ben il 79,6% dei casi nel 2014, mentre continuano a diminuire le nuove diagnosi nelle donne. L’età media per i primi è di 39 anni, per le donne di 36 anni. la fascia di età maggiormente colpita è 25-29 anni (15,6 nuovi casi ogni 100.000).

a cura di MARIA CASTELLANO
ha collaborato con la DOTT. SSA MARIA RITA MILESI
Psicologa e Psicoterapeuta
- A BERGAMO -