Più diffusi di quanto si pensi, ma spesso silenziosi. Le cause: un’alimentazione troppo ricca di grassi e la familiarità. Si stima che i calcoli alla cistifellea (o colecisti) interessino circa l'8% delle persone dopo i 40 anni, con una frequenza che tende ad aumentare con l'età. Nella maggior parte dei casi non danno sintomi, vengono scoperti casualmente e devono essere solo “sorvegliati”. Quando però provocano fastidio o dolore è bene intervenire. Come? Con farmaci o, in casi selezionati, con la chirurgia.

Una questione di grassi
La cistifellea (o colecisti) è una vescichetta che si trova sotto il fegato sul lato destro dell’addome. La sua funzione è raccogliere la bile, liquido prodotto dal fegato che permette di digerire i grassi. Quando il nostro intestino, dopo un pranzo, necessita del succo biliare, allora la colecisti si contrae e spreme il proprio contenuto, ovvero la bile, nel coledoco (dotto biliare principale) che lo porta in duodeno (prima porzione dell’intestino tenue). La bile contiene acqua, colesterolo, sali biliari, proteine e un prodotto di scarto, la bilirubina. Normalmente questi componenti sono disciolti in piccolissime particelle. Però nel caso in cui uno di essi diventi eccessivo (nella maggior parte dei casi si tratta del colesterolo), si cristallizza, ovvero forma degli agglomerati dentro la cistifellea, prima piccoli (fango biliare) e poi sempre più grandi (calcoli). La malattia che ne deriva si definisce “calcolosi della colecisti”: può essere rappresentata da un calcolo solitario, anche di parecchi centimetri, o da innumerevoli calcoli di differenti dimensioni da pochi millimetri al centimetro.

Il rischio, che “migrino” causando una colica
Si tratta di una malattia estremamente frequente di cui, spesso, non si è a conoscenza. Molti pazienti (circa il 70%) con calcoli alla cistifellea non presentano alcun sintomo: sono detti “calcoli silenti” e non interferiscono con la funzionalità di cistifellea, fegato o pancreas. Quando invece un calcolo ostruisce lo sbocco della colecisti verso il coledoco, questa si gonfia e si contrae con forza provocando dolore importante e con caratteristiche altalenanti (non continuo) sotto le costole di destra e sotto la spalla destra. Questo quadro viene comunemente definito come “colica epatica”. Quando poi al dolore colico si aggiunge anche l’infezione, si parla di “colecistite calcolosa” che comporta anche la febbre. In alcuni casi invece i calcoli migrano dalla colecisti verso il dotto coledocico causando ittero o talvolta anche pancreatite acuta. A questo proposito è maggiore il rischio nei casi di calcoli piccoli e plurimi, rispetto a calcoli grossi, poiché più facilmente possono migrare nel coledoco e procurare ittero o pancreatite.

La cura: cibi amari, alimenti o chirurgia a seconda del tipo di calcoli e dei sintomi
Fin quando le concrezioni sono piccole (meno di un millimetro) si può tentare di farle sciogliere, diluendo la bile attraverso l’assunzione di particolari alimenti (verdure amare, tra cui carciofi, tarassaco, cicoria, asparagi, rucola e radicchio) o farmaci (derivati dell’acido chemodesossicolico e ursodesossicolico) da assumere per un massimo di sei-otto mesi. Nei casi di calcoli asintomatici, non c’è indicazione ad alcun trattamento ma è tuttavia opportuno un periodico controllo (ogni due-tre anni) con ecografia. L’ecografia peraltro serve a verificare che veramente la calcolosi sia silente, poiché talvolta il paziente non riferisce sintomi, ma all’esame ecografico si riscontrano segni di infiammazione cronica (colecistite cronica con ispessimento delle pare della cistifellea). In tutti i casi di sintomatologia o riscontro ecografico di alterazioni della colecisti, invece, il trattamento unico (e senza alternative) è la colecistectomia, ossia un intervento chirurgico che consiste nell’asportazione della cistifellea con tutto il suo contenuto. Attualmente questo intervento viene eseguito (se non esistono controindicazioni) con tecnica laparoscopica: in anestesia generale, l’asportazione avviene attraverso quattro piccoli fori di un centimetro in addome, nei quali si inseriscono la telecamera e gli strumenti. Il ricovero per questo tipo di intervento è di uno-due giorni e permette una rapidissima ripresa del paziente, con tassi di complicazioni postoperatorie vicine allo zero. Per questo motivo è raccomandabile eseguire l’intervento in elezione, ossia programmato, poiché l’intervento in urgenza talvolta è reso difficile e complesso dall'infiammazione in atto. Nei casi invece di calcolosi della colecisti complicata da ittero o pancreatite, si deve verificare l’eventuale presenza di calcoli nel coledoco per asportarli. Per fare ciò si esegue un esame endoscopico simile alla gastroscopia (Colangiografia Retrograda Endoscopica detta comunemente ERCP), con il quale si fa un esame radiologico con contrasto diretto nelle vie biliari e se necessario si asportano eventuali calcoli. Dopo qualche giorno dalla rimozione dei calcoli il paziente potrà essere sottoposto alla classica colecistectomia laparoscopica.

Vivere normalmente senza cistifellea? Si può
Una buona parte dei pazienti si chiede se sia possibile vivere una vita normale senza la colecisti. La risposta è sì, in quanto la colecisti non produce bile, ma la raccoglie per il momento di maggior bisogno (dopo un pranzo). Per questo dopo l’intervento, ma solo per qualche settimana, è consigliato eliminare cibi molto conditi, ricchi di grassi saturi soprattutto di origine animale, condimenti come burro e strutto, insaccati e formaggi più stagionati. Meglio frazionare i pasti in modo da agevolare la digestione e puntare su frutta e verdura e tanta acqua. Inoltre, poiché tra le conseguenze dell'asportazione della colecisti c'è una maggiore prediposizione a soffrire di diarrea o di stipsi, bisogna limitare, sempre per il periodo iniziale, cibi irritanti, tra cui anche caffè e cioccolato, latticini, alcool e bibite gassate.

I FATTORI DI RISCHIO
Molteplici sono i fattori che alterano la concentrazione dei vari componenti della bile, inducendo la precipitazione e quindi la formazione dei calcoli. Tra i più comuni, la pillola anticoncezionale, un’alimentazione eccessivamente grassa, la familiarità.

A cura del PROF. GIOVANNI SGROI
Specialista in Chirurgia
- DIRETTORE DIPARTIMENTO SCIENZE CHIRURGICHE, DIRETTORE CHIRURGIA ONCOLOGICA OSPEDALE DI TREVIGLIO -