È stato il padre della riabilitazione nella Bergamasca. Nel 1977 trasformò la Casa degli Angeli di Mozzo, nata per ospitare le ragazze madri e i bambini soli e acquistata dall’Ospedale Maggiore, in un vero e proprio Centro di riabilitazione all’avanguardia.

Per i pazienti e i suoi allievi della Scuola di terapisti della riabilitazione il professore Silvano Ceravolo era considerato davvero un angelo, sempre sorridente, gentile, alla mano, prodigo di consigli per tutti, mai al di sopra delle righe. Anzi non amava mettersi in mostra e fino all’ultimo ha tenuto fede al suo stile. Se n’è andato il 10 gennaio, a ottant’anni mettendo fine agli acciacchi degli anni.

Una vita all’insegna della ricerca delle novità mediche, del perfezionismo, sempre pensando ai pazienti che per lui, come diceva spesso, “non sono cuori malati o cervelli offesi, ma esseri umani completi, anima e corpo”. E aggiungeva: “Ho sempre creduto in una formula: non dobbiamo dare anni alla vita, ma vita agli anni. Dobbiamo restituire ai pazienti una vita piena”. Era felice il professore quando i suoi “ospiti”, grandi traumatizzati o colpiti da infarto o da ictus, tornavano alla normalità grazie alle cure del suo Centro di riabilitazione. “Finalmente la persona infartuata non è più considerata un rottame, ma un uomo o una donna da recuperare” disse in un’intervista. Sempre attento alle innovazioni in campo medico, introdusse anche la logopedia e la psicologia nel piano riabilitativo per accelerare il ritorno alla vita normale dei suoi “ospiti” che considerava e trattava da amici, da padre o fratello maggiore. Fino al 2000. Quando da primario dell’Unità riabilitativa degli Ospedali Riuniti, direttore della scuola per terapisti, professore universitario per la laurea in fisioterapia, scelse di andare in pensione e di trasferirsi in Habilita, allora famosa soprattutto per le camere iperbariche. Nella nuova struttura portò la sua vena pionieristica e la spiccata propensione per le sfide: fu tra i primi a credere nel progetto di Habilita, viaggiò molto per scoprire le nuove frontiere della riabilitazione. Fu lui a introdurre la terapia con le onde d’urto. E il professor Ceravolo ha collaborato, come direttore sanitario, con il fondatore Roberto Rusconi, alla trasformazione del centro iperbarico nel nuovo centro riabilitativo, che oggi, con le sei strutture, è all’avanguardia.

«Silvano aveva un carattere forte, molto rigoroso con se stesso. Era un vero perfezionista, aveva una grande competenza e colpiva la sua signorilità» ci dice il dottor Roberto Rusconi, Presidente del Gruppo sanitario Habilita. «Per tutti noi Silvano era una guida importante, una figura determinante. Aveva un rapporto stupendo con il paziente. Non si fermava al corpo ma cercava di capire lo spirito, l’anima di chi aveva in cura. Quante volte l’ho visto passeggiare nel corridoio sottobraccio ai suoi pazienti, a parlare, a farsi raccontare. Io lo chiamavo un uomo a colori. In questo mondo un po’ grigio, con la mancanza di certezze e di speranze, lui riusciva sempre a dare un po’ di calore e di colore. Anche con le sue cravatte particolari, vistose. “Quando vado dai pazienti, anche quelli in coma, la cravatta vistosa serve, colpisce” diceva. Mi sembrava assurdo, invece qualche tempo dopo scoprii che Silvano aveva ragione. Una signora si risvegliò dal coma e riconobbe il professore per la sua cravatta vistosa».

Il professor Ceravolo amava i colori, la pittura. «L’arte in generale, da quella antica alla contemporanea ed era un grande esperto» racconta ancora il dottor Rusconi. «Aveva trasformato il suo appartamento in un vero museo. Era entusiasta della sua collezione. Ma era entusiasta anche di fare il medico, l’ortopedico, il fisioterapista. Aveva un feeling particolare con tutti i pazienti. Si interessava delle loro condizioni di salute, delle famiglie, dei loro problemi. Sempre con una buona parola pronta o dando il suo aiuto. Ricordo che un giorno vide la donna delle pulizie che aveva dei problemi muscolari e lui l’aiutò con una manipolazione. No, non trascurava i rapporti umani a tutti i livelli. L’altro giorno mi ha mandato una lettera il nostro giardiniere. Incontrava il professore ogni tanto, ma non riesce ancora a pensare che non è più tra noi. Una lettera commovente che dimostra quanto Silvano sia stato amato e rispettato in questi 15 anni di Habilita. Per tanti è stato un ottimo medico, un amico, un compagno, per alcuni un confidente, un padre, per tutti noi una grande persona, che spargeva umanità. Il professore non ha mai cercato di primeggiare. Anche durante le riunioni, lui ascoltava attentamente ma prendeva la parola soltanto quando gli veniva posta qualche domanda. E sempre rispondendo con signorilità e precisione».

La sua vita, il suo impegno era curare pazienti sempre più complessi una volta impensabili da recuperare. “Non mi accontentavo, avevo sempre voglia di fare, di esplorare, di cercare soluzioni ai problemi” confessò una volta il professore e aggiunse: “Se io salvo la vita a un uomo, ma poi lui, a causa della lunghezza delle terapie perde il lavoro, la moglie, e suo figlio diventa uno sbandato, non gli ho reso un buon servizio”. Era attento non solo al paziente, ma alla persona. Centinaia di persone che, con passione e professionalità, ha aiutato a tornare alla normalità il più velocemente possibile.

a cura di LUCIO BUONANNO