La storia di Annalisa Fioretti, pneumologo e alpinista, che ha sfidato l'Everest e si prepara a una nuova avventura.
È appena tornata dal Nepal, sconvolto dal terremoto dello scorso aprile, dove ha visitato e curato 700 persone in sperduti villaggi con trasferimenti a piedi o in jeep di ore o di giorni. E in Nepal ha ricevuto la notizia che era stata insignita del premio Marcello Meroni, attribuito alle persone che si sono particolarmente prodigate, con discrezione, dedizione e in modo volontaristico, per la difesa e la promozione della montagna nel campo dell’ambiente, della cultura, dell’alpinismo e della solidarietà. Lei, Annalisa Fioretti, medico pneumologo e “alpinista non professionista”, come si definisce, l’ha ricevuto per la solidarietà.

Perché quel 25 aprile scorso lei era lì, in Nepal, al campo base sull’Everest quando il violento sisma ha distrutto tutto facendo 8000 vittime. E, invece di pensare alla scalata che l’attendeva o a scappare, si è prodigata per salvare tante vite. Ora aiutare il Nepal, soprattutto gli orfani del terremoto, è diventata quasi una missione. Con Giampiero Tedesco, alpinista veneto, ha messo a punto un’originale iniziativa per raccogliere fondi, “Torvagando”: scalata delle Torri più belle d’Europa, scelte perché hanno una valenza simbolica oppure una storia alpinistica o culturale particolare. «Le salite verranno effettuate in stile essenziale e pulito evitando l’impiego di grandi mezzi raggiungendo le zone, con un furgone trasformato in campo base» spiega Annalisa Fioretti. «Le scalate delle torri hanno lo scopo di accompagnare i sostenitori del progetto in una scalata ideale attraverso una raccolta di fondi. Punto di arrivo ultimo del viaggio alpinistico sarà la salita delle Torri di Trango in Pakistan, mentre di quello umanitario sarà la costruzione di una scuola per i bambini orfani del terremoto, dagli 11 ai 18 anni, con alloggio in una casa di accoglienza e frequenza di sette anni in una scuola privata a Katmandu. Il costo per realizzare tutto questo sarà di 15 mila dollari per ognuno dei 20 studenti scelti». E i soldi? La speranza è che tanti mettano mano al portafoglio e collaborino con questo progetto. D’altronde la dottoressa Annalisa non è nuova a smuovere la coscienza e l’impegno della gente. Lo ha già fatto nel 2012 quando visita Sakina, una bambina del villaggio di Korphe scoprendole una grave cardiopatia. Tornata in Italia riesce a raccogliere la somma necessaria per organizzare i permessi e il trasferimento della piccola a Milano e per pagare l’intervento di cardiochirurgia. Sakina ora vive nel suo villaggio e frequenta la scuola con i suoi coetanei.

Annalisa è una donna minuta ma piena di energie. È mamma di due bambini di otto e sei anni. Lavora qualche notte in una clinica privata, ma nei suoi sogni ci sono sempre quelle vette innevate del Nepal e del Pakistan, dove appena può ritorna e che ha trasportato con immagini e commenti nel suo libro “Oltre, Nepal, viaggio al contrario tra polvere e sorrisi”. È il racconto, in presa diretta, del drammatico terremoto del 25 aprile scorso, quando lei si trovava al campo base pronta per scalare il Lhotse ma bloccata nella tenda da una nevicata. «È stato come in guerra. Sono salva per miracolo. Anche i miei compagni» scrive la dottoressa. «Eravamo al campo base quando tre scosse hanno fatto staccare una valanga dal Pumori. È arrivata con una velocità di 300 chilometri orari, ha colpito la parte centrale del campo distruggendo tutto quello che c’era e trascinando via tende, uomini e materiali. Mi sono salvata. La mia tenda era in una posizione protetta. Secondi, minuti terribili. Passata la bufera, faccio dieci metri e trovo le prime persone ferite, uno sherpa con il bacino rotto pieno di sangue e un altro incastrato nel telo della tenda col viso insanguinato e allora intuisco la catastrofe. Riempio lo zaino di bende, fiale di anestetico e antidolorifici, flebo e siringhe, e sono corsa alla tenda medica. Lì c’è il caos. La gente comincia ad arrivare, ma una dottoressa americana è nel panico. Un medico francese e io prendiamo in mano la situazione dividendo i malati su sacchi a pelo e iniziamo a lavorare facendo triage tra chi potrà salvarsi e chi no. Il mio primo paziente, un coreano, ha il cranio sfondato sull’orbita ed esce il cervello. Reprimo un conato di vomito e cerco di tranquillizzarlo. Gli faccio un antidolorifico e assieme a una dottoressa francese l'ho bendato mentre lei sotto shock si ostina a voler prendere una vena e poi gira con l’ago chiedendomi dove metterlo. La guardo senza capire e poi le dico di dedicarsi a chi può farcela. È brutto, bruttissimo dire a uno “tranquillo, va tutto bene” quando sai che non va bene proprio nulla. Attorno si stanno ammassando. Una giapponese con una gamba ruotata dal femore al contrario si lamenta per il male, le faccio una fiala di antidolorifico mentre il medico francese le rimette a posto la gamba. Lei urla, cerca di muoversi, io le accarezzo la testa e le dico di non mollare… Andiamo avanti per ore a bloccare arti con cartone e bende, a somministrare anestetici e antidolorifici finché ne ho». Per ore Annalisa e gli altri medici resistono a curare e aiutare i feriti. «Sei solo un palliativo, puoi solo tamponare e basta» dice la dottoressa. «Ci arrivavano notizie di almeno trenta persone inghiottite dall’Ice Fall (ndr. cascata di ghiaccio sull’Everest) che si era aperto mentre scendevano e di 200 persone bloccate tra il campo 1 e campo 2. Siamo scesi, abbiamo raggiunto la Piramide dell’Everest, il laboratorio d’alta quota gestito dal CNR italiano, dove abbiamo ripreso le forze». E poi di nuovo al lavoro, a visitare tante persone, in villaggi devastati. Il ritorno in Italia e ancora in Nepal a portare aiuto, a curare centinaia di persone. Lei, la dottoressa-alpinista, che sul Kangchenjunga (8586 metri) nell’agosto del 2013 ha avuto il coraggio di fermarsi a 100 metri dalla vetta per un principio di congelamento alle mani. «Lassù ho imparato questo: vivi secondo i tuoi ritmi e quelli che la vita lassù ti regala con calma gustando il valore del tempo». Ma la sfida continua, per gli orfani del terremoto aspettando gli sponsor e tante donazioni.

UNO ZAINETTO SALVAVITA
Quando va in Nepal Annalisa Fioretti porta sulle spalle uno zaino particolare. Diviso in quattro scompartimenti, dentro c’è di tutto per le urgenze: bende, medicinali, anestetici. è stato messo a punto dall'Associazione “Street Doctor”(Dottore di strada), di cui la dottoressa-alpinista fa parte, sulla base di un prototipo del 118. è utilissimo per portare soccorso ad alpinisti in difficoltà o feriti ma anche nelle visite mediche nei centri sperduti del Nepal dove le popolazioni, spesso isolate, vivono ancora in ripari fatti di lamiere o in tende. Ma per arrivare a quelle quote occorre una preparazione notevole e Annalisa, quando è a casa, scala nel Bergamasco o nel Lecchese o scia quasi tutti i giorni. La spedizione dura un paio di mesi (dipende dalle condizioni metereologiche) e costa tra gli 8 e 10 mila euro.

a cura di LUCIO BUONANNO